Oltre 200 gli over 65 che vivono in strutture di co-abitazione. Nella Converti, presidente della Commissione politiche sociali: «Le persone anziane hanno bisogno di essere autonome»
Da anni, il Comune di Roma sperimenta soluzioni di cohousing per persone anziane. Dopo i primi tentativi registrati già nel 2018, inizia una nuova stagione che vede al centro della trasformazione due elementi: il progressivo invecchiamento della popolazione e il contrasto alla solitudine. Abbiamo incontrato Nella Converti, presidente della commissione politiche sociali del Comune di Roma, impegnata nella progettazione di piani dedicati alla residenzialità della terza età.
Perché nasce il cohousing a Roma?
La sua storia deve essere considerata sotto un duplice aspetto: da un lato c’è il progressivo invecchiamento della popolazione, dall’altro la questione dell’abitare che – come Comune – stiamo affrontando soprattutto in queste settimane. È necessario, inoltre, fotografare la società attuale: la pensione perde la sua capacità d’acquisto nel suo mercato immobiliare romano e sono in tanti a finire per strada. Abbiamo visto, purtroppo, persone senza dimora anche in età avanzata. Già nel 2018, con la precedente amministrazione, sono state emanate le linee guida per la residenzialità delle persone anziane, tra queste la volontà di chiudere le case di riposo tradizionalmente intese, anche perché non rispondevano alle esigenze della popolazione. Con la delibera 56 del ’21 il Comune di Roma ha iniziato a lavorare in questa direzione. Per noi è fondamentale che nella nuova prospettiva le persone anziane conservino la propria attività anche in comunità.
Cosa vi spinge, dunque, a pensare nuovi modelli?
Certamente l’aumento della povertà, anche nella fascia anziana. Come dicevo, la perdita del potere di acquisto e la lotta alla solitudine sono stati per noi elementi fondamentali per continuare l’impegno già avviato. Ma anche una volontà delle persone anziane di non diventare un carico ulteriore alle famiglie e il desiderio di vivere in condizioni di semiautonomia.
Com’è strutturato il cohousing a Roma?
Quasi tutte le strutture di cohousing sono state inserite all’interno di beni confiscati alla criminalità organizzata. Parliamo di appartamenti che ospitano circa 6-8 persone e sono ubicate in zone della città distanti tra loro. Un’altra struttura, nel quartiere Ostiense, accoglie – invece – persone che provengono dal circuito di accoglienza della sala operativa sociale, persone senza dimora: quindi abbiamo organizzato un cohousing ad hoc. Qui trascorrono solo un periodo e poi vengono trasferite in altre soluzioni di co-abitazione. Chi ha vissuto per strada per tanti anni non ha le stesse capacità degli altri. Una storia mi ha molto colpito: un ospite di quest’ultima struttura ha svuotato il frigorifero perché non ne aveva mai visto uno pieno. Ecco come diventa importante prevedere percorsi dedicati. Abbiamo inoltre comunità alloggio e miniappartamenti in cui si mantiene viva la propria autonomia.
Come vengono selezionati?
I criteri sono semplici: almeno 65 anni, un reddito personale basso e un buon livello di autonomia. Ad oggi, il Comune di Roma ha soluzioni abitative per 200 persone. Per quanto riguarda i pagamenti, invece, si procede in questo modo: gli ospiti della casa di riposo versano il 70% del reddito persona, e qui è compresa anche l’assistenza. Poi ci sono i miniappartamenti, in cui gli ospiti versano il 35% delle entrate personali, utenze e affitto sono a carico di Roma Capitale. Per quanto riguarda le comunità alloggio e il cohousing gratuiti, la spesa è di 250 euro al mese. Se avanza qualcosa dalla spesa, per alimenti e beni di consumo, gli abitanti della casa decidono come spendere la somma. In una comunità alloggio, gli ospiti hanno deciso di adottare un animale.
Ci sono i contro?
La convivenza è un aspetto da non sottovalutare, quindi l’abbinamento delle persone è fondamentale e di questo si occupa il servizio sociale. Ci sono poi i colloqui che vengono realizzati all’interno della struttura. Un altro tema è sicuramente quello dell’autonomia: è importante promuovere l’autonomia personale.
Ci sono delle particolarità che vuole condividere?
Sì, di recente abbiamo messo in pratica una bella esperienza: una persona seguita da una struttura ha scelto di fare volontariato, organizzando delle lezioni di lingua inglese, in un’altra tipologia di struttura. Una buona pratica di cui dobbiamo fare tesoro e ci piacerebbe in futuro che questa contaminazione diventasse stabile e diffusa.
Si può migliorare il servizio?
Fare incontrare utenza e servizio è l’unica occasione che abbiamo per capire come rendere sempre più funzionale il cohousing.
Ho ritrovato una famiglia
«Mi chiamo Roberto e ho 68 anni. Amo leggere, soprattutto fumetti, e scrivere poesie. Tra le mie passioni c’è il volontariato: mi occupo infatti della mensa della Caritas di Colle Oppio. Da un anno abito con sei persone a Casa delle Viole, a Monteverde a Roma.
Per me che ho perso tutti, il cohousing è stato un tornare alle origini. Casa delle Viole è infatti come un rifugio che mi ha restituito il senso di sicurezza e la voglia di vivere. Quando sono mancati i miei genitori mi sono ritrovato solo, senza nessuno, ma qui abbiamo costruito una famiglia.
Già al primo incontro, appena sono entrato nell’appartamento di via Capparoni mi sono sentito immediatamente a casa. Ad accogliermi c’erano due persone: l’assistente sociale responsabile del progetto e Carla, inquilina storica della casa. I loro sorrisi mi hanno fatto capire che potevo sentirmi in famiglia. Soprattutto con Carla ho avuto la sensazione che ci conoscessimo da sempre. Forse ci siamo incontrati a Trastevere tempo prima, non sono sicuro ma il suo viso mi ha fatto sentire protetto.
Nella casa tutti siamo responsabili degli spazi comuni come il salone e la cucina. Dobbiamo tenere in ordine e pulire, c’è una persona che ci aiuta ma è compito nostro, ad esempio, rifarci il letto, fare il bucato.
A me piace prendermi cura degli altri, sono molto collaborativo. Lo faccio con piacere, siccome sorrido sempre mi hanno soprannominato “gioioso”.
La convivenza, ovviamente, presenta delle sfide quotidiane: differenze di abitudini, bisogni e personalità richiedono pazienza e disponibilità. Ma la volontà di vivere bene e di mantenere un atteggiamento positivo prevale sempre.
In questo è fondamentale il lavoro degli educatori e degli assistenti sociali perché ci aiutano a organizzare le attività quotidiane. Ci organizzano anche dei momenti speciali. Ad esempio, qualche settimana fa siamo stati al roseto di Roma e nei prossimi mesi andremo ad Assisi. Proprio come una famiglia.
Per la buona riuscita dell’esperienza penso siano importantissime due parole: rispetto e condivisione».
*Ringraziamenti all’Ufficio Coordinamento tecnico strutture residenziali per anziani del Comune di Roma e al responsabile Claudio Catalucci
© Riproduzione riservata