Un’indagine della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria accende i riflettori sulla gestione farmacologica nelle Rsa. Spezzare, triturare o aprire le medicine per facilitarne l’assunzione è una prassi diffusa ma spesso scorretta.
Primo studio nazionale su 82 strutture italiane
La ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Aging Clinical and Experimental Research rappresenta la prima fotografia completa della somministrazione dei farmaci nelle strutture residenziali del nostro Paese. Gli ospiti delle Rsa italiane ricevono quotidianamente circa 17.000 pillole, tra compresse e capsule, e la questione non riguarda soltanto il numero elevato di medicinali prescritti. Il problema principale emerge dalla modalità con cui questi farmaci vengono somministrati.
Dario Leosco, presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria e docente di Geriatria all’Università Federico II di Napoli, insieme ad Andrea Ungar dell’Università di Firenze, ha coordinato un team che ha analizzato i dati raccolti durante il Prescription Day 2024, coinvolgendo 82 strutture distribuite in 12 regioni italiane.
Quando facilitare diventa un errore
Gli anziani nelle residenze assistenziali affrontano numerose difficoltà nella deglutizione. La disfagia colpisce dal 40 al 60% degli ospiti delle RSA, una percentuale drammaticamente superiore rispetto alla popolazione generale sopra i 65 anni, dove si attesta intorno al 13%.
Questa condizione costringe il personale sanitario a trovare soluzioni pratiche per somministrare le terapie prescritte. Una compressa su tre viene spezzata o triturata, mentre una capsula su quattro viene aperta per mescolare il contenuto con cibi o bevande. Sembrano soluzioni semplici e immediate, dettate dall’esperienza quotidiana e dalla necessità di garantire che i pazienti assumano le cure necessarie. Tuttavia, l’indagine dimostra che nel 13% dei casi questa manipolazione risulta inappropriata: il 5% riguarda le compresse e l’8% le capsule. Questo perché alterare la formulazione di un farmaco può compromettere seriamente la sua efficacia terapeutica. Oltre a causare fenomeni di sovra o sottodosaggio e aumentare la tossicità, con possibili effetti irritanti sulla mucosa dell’apparato digerente.
I medicinali manipolati con più frequenza
Tra i medicinali che vengono più frequentemente alterati in modo scorretto figurano l’antipsicotico quietapina, il pantoprazolo utilizzato contro il reflusso gastroesofageo, l’aspirina, l’antidepressivo trazodone e gli antipertensivi bisoprololo e ramipril. Questi farmaci presentano rivestimenti o formulazioni specifiche studiate per rilasciare il principio attivo in modo graduale o per proteggere lo stomaco. Aprire una capsula gastroresistente elimina lo scudo progettato per far arrivare il medicinale intatto nell’intestino, esponendo l’organismo a possibili danni e riducendo i benefici della terapia.
Allo stesso modo, frantumare pillole a rilascio prolungato, pensate per mantenere costante il livello del principio attivo per otto, dodici o ventiquattro ore, accelera l’assorbimento del farmaco con conseguenze potenzialmente tossiche. Il problema non si limita alla perdita di efficacia. Sbriciolare o spezzare una pillola può significare perdere parte del principio attivo durante la preparazione, compromettendo la dose terapeutica. Inoltre, il sapore sgradevole che il farmaco assume una volta frammentato peggiora l’adesione del paziente alla cura.
Otto farmaci al giorno diventano un rischio
Il contesto clinico delle residenze assistenziali italiane presenta una complessità che aggrava ulteriormente la situazione. L’età media degli ospiti si attesta sugli 85 anni, con una prevalenza femminile del 70%. Quasi tutti convivono con quattro o cinque malattie croniche simultanee, mentre oltre la metà ha ricevuto diagnosi di demenza e dipende dall’assistenza per gran parte delle attività quotidiane. Questa fragilità clinica si traduce nell’assunzione media di otto farmaci al giorno per ogni anziano, spesso con quattro o cinque somministrazioni giornaliere.
Su un totale di circa 24.000 prescrizioni giornaliere analizzate nello studio, quasi 17.000 sono pillole, con prevalenza di farmaci cardiovascolari, psicofarmaci e gastroprotettori. L’esposizione farmacologica così elevata determina il rischio di almeno un’interazione pericolosa tra due o più medicinali nel 42% degli anziani. In alcuni casi si arrivano a registrare fino a sette interferenze contemporanee. L’interazione più diffusa deriva dalla combinazione di più psicofarmaci, che aumenta il pericolo di cadute e peggiora lo stato cognitivo, particolarmente critico nei pazienti con demenza.
La ricerca ha evidenziato un elemento chiave per migliorare questa situazione: la presenza di un geriatra all’interno delle strutture residenziali determina una riduzione significativa, compresa tra il 24 e il 37%, delle interazioni farmacologiche. Questo dato sottolinea come la competenza specialistica non si limiti alla valutazione clinica ma si estenda alla gestione appropriata e personalizzata delle terapie.
Pericoli anche per chi somministra
La manipolazione scorretta dei farmaci non rappresenta soltanto un rischio per i pazienti. La triturazione delle pillole crea polveri che possono mettere in pericolo la salute degli infermieri e degli operatori sanitari. La movimentazione di queste polveri senza adeguate protezioni come guanti o mascherine espone il personale al rischio di allergie e intossicazioni da contatto e inalazione, particolarmente gravi nel caso di farmaci citotossici. Anche mescolare i medicinali con determinate bevande o cibi può influenzarne l’assorbimento e il metabolismo, rendendo la terapia inefficace o potenziandone la tossicità.
Lo studio della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria sottolinea come questa pratica, per quanto diffusa e apparentemente innocua, necessiti di protocolli standardizzati e formazione specifica del personale. La fragilità degli anziani nelle RSA richiede attenzione particolare non solo nella scelta dei farmaci ma anche nelle modalità di somministrazione.
© Riproduzione riservata
