Una ricerca svela le differenze geografiche nella progressione verso l’Alzheimer. Contano genetica e stili di vita
Scordare le chiavi di casa da qualche parte o dimenticare un appuntamento potrebbero essere sintomi di un disturbo cognitivo lieve. Un problema che riguarda milioni di cittadini europei inconsapevoli. Solo in Italia si stima che oltre 950mila persone convivano con questa condizione, spesso senza saperlo o senza darle il giusto peso. Chi ne soffre sperimenta difficoltà di memoria, attenzione e ragionamento più marcate rispetto a quelle che ci si aspetterebbe per la sua età, pur continuando a vivere una vita autonoma. Motivo per cui rischia di passare inosservato, scambiato come semplice effetto dell’ invecchiamento. Tuttavia una parte significativa delle persone con disturbo cognitivo lieve evolve nel tempo verso forme più gravi di deterioramento, in particolare verso la malattia di Alzheimer.
AI-Mind, un grande progetto di medicina predittiva
AI-Mind è un progetto di ricerca europeo che ha coinvolto quattro paesi europei e centinaia di specialisti. Partito nel 2021 con un finanziamento della Commissione Europea di circa 14 milioni di euro nell’ambito di Horizon 2020, lo studio ha reclutato oltre mille persone affette da disturbo cognitivo lieve a Madrid, Oslo, Helsinki e Roma. Per due anni sono stati seguite con esami approfonditi, test neuropsicologici, analisi genetiche, risonanze magnetiche, elettroencefalogrammi e dosaggi di biomarcatori nel sangue. L’obiettivo era utilizzare l’intelligenza artificiale per incrociare tutti questi dati e costruire modelli predittivi capaci di riconoscere in anticipo chi ha maggiori probabilità di sviluppare una demenza.
Il finale non è uguale per tutti
I risultati del monitoraggio biennale hanno confermato che il disturbo cognitivo lieve è tutt’altro che una condizione uniforme. Circa il 10% dei partecipanti è progredito verso una forma conclamata di demenza entro ventiquattro mesi, mentre un ulteriore 20% ha mostrato un peggioramento significativo delle funzioni cognitive pur rimanendo tecnicamente nella diagnosi di MCI. Percentuali che indicano come questa condizione rappresenti un fattore di rischio importante, anche se non per tutti allo stesso modo.
Le differenze tra Nord e Sud Europa
Uno degli aspetti più interessanti emersi dallo studio riguarda le differenze geografiche nella progressione della malattia. I pazienti del Nord Europa hanno mostrato una maggiore tendenza a evolvere verso forme di demenza rispetto a quelli dell’area mediterranea, Italia e Spagna. La spiegazione è in parte genetica. Nelle popolazioni nordiche è più frequente la presenza della variante genetica APOE ε4, riconosciuta come uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo dell’Alzheimer. Inoltre, i pazienti scandinavi hanno anche mostrato livelli più elevati nel sangue di biomarcatori specifici legati alla neurodegenerazione. In particolare, quelli dell’amiloide, la proteina che tende ad accumularsi nel cervello dei malati di Alzheimer.
Oltre i geni: cultura, sanità e stili di vita
I ricercatori sottolineano che entrano poi in gioco numerosi altri fattori, alcuni dei quali legati all’organizzazione sociale e sanitaria dei diversi paesi. Il livello di istruzione della popolazione, per esempio, gioca un ruolo protettivo documentato da decenni di studi. Chi ha studiato più a lungo tende a sviluppare una maggiore “riserva cognitiva” che può compensare parzialmente i danni cerebrali. Anche le modalità con cui viene diagnosticato il disturbo cognitivo lieve variano da paese a paese. In alcune nazioni i sistemi sanitari sono strutturati per intercettare precocemente i primi segnali di declino cognitivo. Altrove la diagnosi arriva più tardi, quando il quadro clinico è già più definito. Infine, gli stessi criteri diagnostici utilizzati per definire cosa si intende per disturbo cognitivo lieve non sono del tutto omogenei in tutta Europa: alcuni centri adottano definizioni più stringenti, altri più inclusive.
L’intelligenza artificiale, alleata della diagnosi precoce
Tutte le informazioni raccolte saranno ora analizzate attraverso algoritmi avanzati di intelligenza artificiale. L’aspettativa è identificare pattern e caratteristiche capaci di distinguere con precisione quali soggetti svilupperanno effettivamente una demenza e quali invece resteranno stabili o miglioreranno. Si tratta di un passaggio fondamentale per la medicina del futuro: poter prevedere con maggiore accuratezza il decorso della malattia significa poter offrire ai pazienti e alle loro famiglie una pianificazione assistenziale più adeguata, interventi tempestivi e, quando disponibili, trattamenti mirati. Una diagnosi tempestiva invece apre spazi per modifiche dello stile di vita, stimolazione cognitiva, controlli ravvicinati e, in prospettiva, accesso a terapie innovative ancora in fase di sperimentazione.
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