Uno studio americano rivela il legame drammatico tra svantaggio economico e mortalità negli over 60. In Italia quasi un milione di anziani vive in povertà assoluta mentre il sistema sanitario pubblico si assottiglia.
Il divario letale tra ricchi e poveri nella terza età
Non è una questione di semplice statistica. Dietro i numeri si celano vite intere cambiate, anni rubati, sofferenze che nessuno misura nelle carte d’identità.
Uno studio del National Council on Aging americano, in collaborazione con il LeadingAge long-term services and supports Center dell’Università del Massachusetts a Boston, fornisce un quadro desolante: gli anziani che appartengono al ventesimo percentile più povero della popolazione muoiono fino a nove anni prima di coloro che guadagnano il triplo.
Nel periodo tra il 2018 e il 2022, il tasso di mortalità tra gli over 60 economicamente svantaggiati ha toccato il 21%, mentre tra i più benestanti si è fermato al 10,7%. Una differenza di quasi dieci punti percentuali che traduce in vite reali il peso della povertà sulle spalle di chi non ha risorse. Più di diciannove milioni di famiglie di anziani negli Stati Uniti, il quarantacinque per cento del totale, non dispongono nemmeno del minimo indispensabile per coprire le spese fondamentali di vita.
Il meccanismo biologico della povertà
Dario Leosco, presidente della Società italiana di gerontologia e geriatria e professore ordinario di geriatria all’Università degli Studi di Napoli Federico II, spiega il fenomeno con lucidità scientifica.
Lo svantaggio economico non opera solo sulla carta, ma si trasforma letteralmente in processi biologici distruttivi. La scarsità di risorse provoca uno stato di stress cronico che genera una risposta infiammatoria diffusa nei tessuti dell’organismo. Questa infiammazione sistemica crea le condizioni ideali per lo sviluppo di malattie neurodegenerative, cardiovascolari e oncologiche. Il sistema immunitario, sottoposto a tensione continua, perde progressivamente la capacità di difendersi da agenti patogeni esterni. E non è una metafora. La povertà diventa un fattore di rischio biologico concreto, misurabile attraverso marcatori infiammatori nel sangue, alterazioni nel profilo lipidico, danni accelerati alle cellule. Gli anziani con meno risorse vivono letteralmente in uno stato di emergenza fisiologica costante, bruciando le proprie riserve biologiche molto più velocemente.
Tra longevità mondiale e disuguaglianze interne
Sul piano internazionale, l’Italia rimane un’eccezione positiva. Nel 2024 l’aspettativa di vita ha toccato il massimo storico: 85,5 anni per le donne e 81,4 per gli uomini, una media di 83,4 anni che piazza il Paese al secondo posto in Europa dopo la Spagna. Eppure questi dati nascondono una realtà complessa e allarmante.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istat, in Italia vivono in povertà assoluta quasi novecentodiciottemila persone over 65, il 6,7% della popolazione anziana. Si tratta di persone il cui reddito mensile non raggiunge la soglia minima per garantire i beni e servizi essenziali.
L’inflazione galoppante degli ultimi anni ha eroso ulteriormente il potere d’acquisto di questi anziani. Le bollette aumentano, i farmaci costano di più, gli affitti mangiano risorse già scarse. Gli anziani soli o con pensioni minime risultano particolarmente vulnerabili. L’intensità della povertà, misurata da quanto le spese delle famiglie povere si collocano al di sotto della soglia minima, rimane elevata al 18,4% e aumenta soprattutto nel Mezzogiorno.
La ricerca che anticipò lo scenario statunitense
Leosco ricorda uno studio precedente, pubblicato dal British Medical Journal nell’ambito del progetto europeo LifePath. Quella ricerca aveva già dimostrato una riduzione dell’aspettativa di vita tra i più anziani svantaggiati, dai quattro ai sette anni. L’impatto negativo si avvicinava a quello provocato da fattori di rischio ben noti come sedentarietà, diabete e abitudine al fumo.
La novità dello studio americano è che il divario si è ampliato: il gap passa da sette a nove anni, indicando un’accelerazione del fenomeno. Questo peggioramento corrisponde con un periodo di crescita delle disuguaglianze di reddito sia negli Stati Uniti che a livello globale. Non è coincidenza. I dati mostrano un collegamento diretto: quando le disuguaglianze crescono, le persone povere muoiono prima.
Una sfida politica, oltre che sanitaria
Le scelte politiche, economiche e sociali sono decisioni sanitarie. Costruire una società più giusta non rappresenta soltanto un obiettivo etico, ma la più efficace politica di salute pubblica.
L’Italia per il 2025 ha stanziato il 6,5% del Pil alla spesa sanitaria, mentre altri paesi avanzati investono l’8, il 9 e perfino il 10%. Senza interventi urgenti che rafforzino la progressività fiscale e la redistribuzione della ricchezza, le disparità nella longevità cresceranno. Il messaggio dei dati è chiaro: non è possibile sfuggire a questa dinamica.
I geriatri e gli epidemiologi concordano su un punto: ogni decisione economica e politica oggi avrà conseguenze sulla longevità di domani. Chi governa la scena pubblica deve decidere se investire in equità o lasciare che il denaro continui a determinare quanti anni si vive.
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