Chi fu realmente l’avventuriero inglese nemico di Sandokan che si autoproclamò re di Sarawak
Quando Emilio Salgari creò il personaggio di Sir James Brooke per il suo ciclo di Sandokan, pochi lettori immaginavano che dietro quel cacciatore di pirati freddo e senza scrupoli si celasse una storia vera ancora più avvincente della finzione. Il Raja Bianco, infatti, non è un personaggio letterario, ma un colonialista inglese dell’era vittoriana realmente esistito. E la sua vicenda rappresenta uno dei capitoli più straordinari e controversi dell’Impero britannico.
L’infanzia privilegiata
James Brooke nacque nel 1803 a Benares, nell’India britannica, figlio di un magistrato della Compagnia delle Indie Orientali. Crebbe in un ambiente di privilegi, coccolato e viziato in una dimora coloniale lontano dalle rigide regole vittoriane. Fu mandato in patria a 12 anni per studiare, solo per scegliere di fuggire al più presto per non tornare mai più. A sedici anni era di nuovo in India con un incarico militare ma nel 1825, durante la Guerra Birmana, rimase gravemente ferito ai polmoni.
Sulla Royalist in cerca di fortuna
Deluso dalla vita militare, Brooke si dimise e investì il suo patrimonio in una goletta armata, che descrisse come “un bricco negriero slanciato, 290 tonnellate di stazza – uno che saprebbe combattere o darsela a gambe a seconda dell’occasione”. La Royalist, appunto, che appare più volte nella serie Sandokan appena conclusa. Era il 1838 e aveva trentacinque anni. La sua occasione arrivò navigando verso il Borneo, dove il Sultanato del Brunei cercava di domare una ribellione nel Sarawak, territorio di foreste pluviali attraversato da fiumi e punteggiato di villaggi Dayak.
L’avventura nel Borneo
Quella era allora una regione pericolosa, infestata da pirati, trafficanti di schiavi e guerrieri cacciatori di teste. Nel 1841, dopo aver prestato il suo aiuto militare al sultano Omar Ali Saifuddin II, Brooke ricevette una nomina che avrebbe cambiato la sua vita: fu proclamato governatore del Sarawak. Non era dunque un semplice amministratore coloniale dipendente da LOndra, ma un vero sovrano con poteri assoluti. Si autoproclamò raja, un titolo che la Regina Vittoria riconobbe poi di fatto, conferendogli il cavalierato nel 1848.
Un governo tra paternalismo e violenza
Il Raja Bianco Brooke governò il Sarawak con una filosofia particolare. Convinto che il contatto con gli europei corrompesse le popolazioni indigene, nutriva sospetti verso i missionari e amministrava il territorio con una manciata di collaboratori. I Dayak locali lo vedevano con timore reverenziale, attribuendogli poteri soprannaturali. La sua lotta contro la pirateria e le razzie tra tribù rivali fu spietata. La battaglia di Beting Maru del 1849 scatenò un’aspra polemica in Parlamento, dove fu accusato di eccessiva crudeltà. Ma Brooke difese sempre le sue azioni come necessarie per portare ordine in una terra che altrimenti sarebbe rimasta nel caos.
L’eredità di una dinastia
James Brooke non si sposò mai e non lasciò eredi legittimi. Alla sua morte, nel 1868, gli succedette il nipote Charles, che resse il Sarawak fino al 1917 espandendone i confini e ottenendo nel 1888 il riconoscimento di Stato indipendente sotto protezione britannica. Il terzo e ultimo Raja Bianco fu Charles Vyner Brooke, che nel 1946, dopo l’occupazione giapponese della Seconda Guerra Mondiale, cedette il regno alla Corona Britannica. Così finiva, dopo oltre un secolo, l’epopea dei Raja Bianchi del Borneo. Di certo, quando Salgari scelse James Brooke come antagonista del suo eroe, sapeva di attingere a una storia già ricca di tutti gli ingredienti del grande romanzo d’avventura.
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