L’Italia invecchia anche al lavoro: cresce solo chi ha superato i cinquant’anni
Il mercato del lavoro italiano mostra un volto sempre più maturo. I dati del terzo trimestre 2025 fotografano un’Italia che lavora di più ma con meno persone, dove l’occupazione cresce soltanto tra chi ha superato i cinquant’anni. Da un lato l’invecchiamento demografico, dall’altro riforme pensionistiche che hanno reso più difficile lasciare il mondo del lavoro. Nel periodo tra luglio e settembre, l’Istat ha registrato un dato che non si vedeva da tempo: l’occupazione si è fermata. Dopo diciassette trimestri consecutivi di crescita ininterrotta, il numero totale degli occupati è rimasto sostanzialmente invariato rispetto allo stesso periodo del 2024, attestandosi a 24 milioni e 123 mila unità. Il tasso di occupazione nella fascia 15-64 anni si mantiene al 62,5%, lo stesso di un anno fa.
Il lavoro si fa più intenso
Eppure, le ore complessive lavorate dall’intero sistema economico sono aumentate del 2% rispetto al terzo trimestre dell’anno precedente. La risposta a questa che sembra una contraddizione sta nella maggiore intensità lavorativa: chi ha un impiego lavora più ore, anche se il numero complessivo di occupati non cresce. Su base trimestrale, confrontando luglio-settembre con aprile-giugno, le ore lavorate sono salite dello 0,7% mentre gli occupati sono diminuiti di 45 mila unità. Questo fenomeno, che appare positivo in termini di produttività, nasconde alcune criticità. Le ore lavorate, infatti, crescono più velocemente del prodotto interno lordo, che nello stesso periodo è aumentato dello 0,6%. Gli esperti attribuiscono questa dinamica al basso costo del mercato del lavoro in Italia, conseguenza di salari mediamente inferiori rispetto ad altri Paesi europei.
La geografia generazionale del lavoro
L’elemento più significativo emerge osservando le diverse fasce d’età. Tra i 15 e i 34 anni l’occupazione è calata di 62 mila unità, mentre nella fascia intermedia tra 35 e 49 anni si sono persi altri 49 mila posti. Al contrario, tra gli over 50 l’occupazione è cresciuta di 67 mila unità. Il tasso di occupazione nella fascia 50-64 anni è l’unico a registrare un incremento, mentre risulta stabile per le donne e per chi ha tra 35 e 49 anni, in calo per gli uomini e per i giovani. Questo spostamento verso l’alto dell’età media dei lavoratori riflette innanzitutto il progressivo invecchiamento della popolazione italiana. Ma c’è dell’altro: le riforme pensionistiche hanno reso più rigida l’uscita dal mondo del lavoro, trattenendo più a lungo le persone in età avanzata. Chi avrebbe potuto andare in pensione con le vecchie regole oggi deve attendere, continuando a lavorare anche superati i sessantacinque anni.
Dipendenti e autonomi: dinamiche opposte
Guardando alle tipologie contrattuali, emergono poi tendenze divergenti. Rispetto al trimestre precedente, i dipendenti a tempo determinato sono diminuiti di 51 mila unità, una flessione del 2%. I lavoratori a tempo indeterminato restano invece stabili. In controtendenza crescono gli indipendenti, con un aumento di 14 mila unità. Su base annua, confrontando con il terzo trimestre 2024, i contratti a tempo indeterminato salgono di 121 mila unità e i lavoratori autonomi di 114 mila, mentre i contratti a termine scendono drasticamente di 241 mila posizioni. Anche la modalità di lavoro cambia. Gli occupati a tempo pieno aumentano di 301 mila unità in un anno, mentre quelli a tempo parziale diminuiscono di 308 mila. Questo riequilibrio può essere letto in chiave positiva, segnalando una maggiore stabilità e continuità lavorativa, oppure come segnale di una minore flessibilità che in alcuni casi può penalizzare chi preferisce o necessita di orari ridotti.
Questione di età e prospettive
Il mercato del lavoro italiano presenta dunque luci e ombre. Da un lato la sostanziale tenuta occupazionale complessiva, l’aumento delle ore lavorate e la riduzione della disoccupazione. Dall’altro la dinamica generazionale, con i giovani che arretrano e gli over 50 che diventano la componente trainante del mercato del lavoro. Il dibattito politico analizza questi dati da diverse angolazioni. Alcuni economisti collegano l’aumento delle ore lavorate, superiore alla crescita economica, ai salari troppo bassi: le imprese trovano più conveniente aumentare il carico di lavoro dei dipendenti esistenti piuttosto che assumere nuove risorse. Altri esperti indicano la strada delle politiche attive: incentivi, formazione e riforma dei contratti possono favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
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