Chi parte è laureato: il 42% degli emigrati cerca all’estero meritocrazia e stipendi adeguati. L’impatto della fuga interna dal Mezzogiorno al Nord
Un flusso silenzioso, costante, scandito dai contratti a tempo determinato e dalla ricerca di opportunità. È l’esodo dei giovani italiani, un fenomeno strutturale che ha ormai i numeri di una migrazione di massa. Nel 2024, 78mila giovani hanno varcato i confini per cercare un futuro altrove. Allargando lo sguardo a un arco di tredici anni, dal 2011 al 2024, la cifra diventa ancor più eloquente: in 630mila hanno fatto le valigie con l’intenzione di non tornare. Praticamente il 7% dell’intera popolazione giovanile residente.
Miliardi di capitale umano perduto
A fotografare l’esodo dei giovani italiani è un rapporto del CNEL, che azzarda anche una stima del danno economico. Il capitale umano perso, calcolato come l’investimento in istruzione e formazione sostenuto dalle famiglie e dallo Stato per crescere i ragazzi, vale 159,5 miliardi di euro, il 7,5% del Pil. Un conto pagato due volte: investendo sulla formazione, senza però ottenere il ritorno su quell’investimento, che matura in altre economie. Una situazione ancora più paradossale se letta attraverso la lente dell’inverno demografico che sta attraversando l’Italia.
Le mete più ambite
L’esodo dei giovani italiani riguarda principalmente le ‘eccellenze’. Negli ultimi tre anni, oltre il 42% degli emigrati possedeva una laurea, una percentuale in aumento che segnala un drenaggio di cervelli sempre più intenso. Le destinazioni sono le economie più dinamiche d’Europa: il Regno Unito guida la classifica, seguito da Germania, Svizzera, Francia e Spagna. Questi Paesi offrono ciò che l’Italia stenta a garantire: stipendi adeguati, carriere basate sul merito e servizi efficienti. Il confronto sull’attrattività internazionale è impietoso: tra i 38 Paesi Ocse, l’Italia si piazza solo al trentunesimo posto per capacità di attrarre talenti stranieri qualificati.
Il doppio esodo: dal Sud al Nord
Accanto al flusso internazionale, ne esiste un altro all’interno dei confini nazionali. È la fuga dal Mezzogiorno verso le regioni centro-settentrionali, un esodo interno che riguarda i quasi mezzo milione di giovani italiani in tredici anni. La Lombardia da sola ne ha accolti 192mila. Questo movimento ha un costo sociale ed economico altissimo per le regioni di partenza, stimato in ulteriori 147 miliardi di euro di capitale umano trasferito. Si crea così un divario sempre più ampio, con aree del Paese che si impoveriscono non solo di risorse economiche, ma soprattutto di futuro e di energie innovative.
Le cause della fuga: dall’economia alla società
Le ragioni della partenza sono complesse e interconnesse. Gli stipendi italiani faticano a tenere il passo con il costo della vita, specialmente per quanto riguarda l’accesso alla casa. Il sistema della ricerca e dell’innovazione non offre percorsi di carriera chiari e meritocratici. Spesso, la cultura del merito fatica ad affermarsi in un tessuto dove le relazioni personali contano ancora troppo. Questa combinazione di fattori economici e sociali rende il Paese un ambiente percepito come poco ospitale per le ambizioni e i progetti di vita delle nuove generazioni, continuando ad alimentare, così, l’esodo dei giovani italiani.
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