Il tema delle terre rare al centro della sfida tecnologica tra superpotenze. Perché un metallo semisconosciuto fa tremare Washington
L’ittrio è metallo dalle proprietà straordinarie, sconosciuto al grande pubblico, diventato il nuovo campo di battaglia nella guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Mentre l’informazione si concentra sull’intelligenza artificiale, nelle retrovie della tecnologia si consuma uno scontro altrettanto decisivo che rischia di paralizzare interi settori industriali. Nonostante Pechino abbia acconsentito a rinviare di un anno il sistema di licenze governative per l’esportazione di terre rare, in cambio di una moratoria americana su alcune restrizioni tecnologiche. In realtà, però, le misure introdotte dalla Cina ad aprile restano operative. La catena di approvvigionamento mondiale continua a irrigidirsi e i prezzi di questo materiale strategico hanno raggiunto livelli mai visti.
Un metallo che vale più dell’oro
L’ittrio, classificato tra le terre rare nonostante non sia particolarmente raro in natura, possiede caratteristiche fisiche uniche che lo rendono indispensabile per la tecnologia avanzata. La sua capacità di resistere a temperature estreme e di mantenere stabilità strutturale in condizioni proibitive lo ha trasformato in un componente essenziale per applicazioni dove il fallimento non è contemplabile. Le pale delle turbine negli aerei di linea, per esempio, devono sopportare il calore generato dalla combustione del carburante e le sollecitazioni meccaniche del volo ad alta quota. I rivestimenti a base di ittrio permettono a questi componenti di durare migliaia di ore senza degradarsi. Lo stesso principio si applica alle centrali elettriche a gas, dove le turbine operano in regime estremo per garantire efficienza energetica.
Le nuove tecnologie in bilico
Ma l’importanza dell’ittrio va oltre l’industria aerospaziale ed energetica. Nella produzione di microchip, i rivestimenti protettivi delle attrezzature per la deposizione al plasma utilizzano composti a base di ittrio che impediscono la contaminazione durante i processi di incisione. Parliamo di tecnologie che stanno alla base di smartphone, computer, sistemi di difesa e praticamente ogni dispositivo elettronico moderno. In un’epoca in cui la sovranità tecnologica è diventata una questione di sicurezza nazionale, controllare la filiera dell’ittrio significa controllare il cuore pulsante dell’economia digitale.
Il monopolio cinese che fa paura all’Occidente
Gli Stati Uniti importano il 100% del loro fabbisogno di ittrio, e di questa quota il 93% proviene direttamente dalla Cina. Peraltro, la raffinazione e la separazione dell’ittrio dagli altri elementi delle terre rare richiede competenze avanzate, infrastrutture sofisticate e esperienza industriale. Skill che Pechino ha accumulato mentre l’Occidente delocalizzava questa produzione considerata poco redditizia e inquinante. Quando la Cina ha deciso di irrigidire le esportazioni in risposta ai dazi americani, le aziende occidentali, abituate a ricevere forniture puntuali, si sono trovate improvvisamente di fronte a ritardi e incertezze sui tempi di consegna. Un disastro per il settore tecnologico, dove anche una settimana di ritardo può compromettere contratti milionari.
Prezzi alle stelle
In Europa, il prezzo dell’ossido di ittrio ha registrato un’impennata: un incremento del quattromilaquattrocento per cento dall’inizio dell’anno. Le aziende aerospaziali americane hanno lanciato allarmi al governo, sottolineando come questa situazione minacci la continuità produttiva e la sicurezza nazionale. Le scorte dei magazzini occidentali variano drasticamente: alcuni produttori dispongono di riserve sufficienti per un anno, altri per pochi mesi. Le esportazioni cinesi verso numerosi Paesi sono calate di circa il 30%, a testimonianza di come Pechino stia dosando con attenzione il flusso di materiali strategici verso l’estero.
La strategia di Pechino
Parallelamente alle restrizioni commerciali, le autorità cinesi hanno avviato un monitoraggio dei tecnici specializzati nella lavorazione delle terre rare, limitandone i viaggi internazionali e impedendo potenziali trasferimenti di competenze verso Paesi rivali. Contemporaneamente restano in vigore i divieti sull’esportazione di tecnologie avanzate per la raffinazione, un settore dove il vantaggio cinese appare difficilmente colmabile nel breve periodo. Pechino sta inoltre sviluppando un sistema di licenze che permetterebbe forniture più rapide solo verso aziende senza collegamenti con l’industria militare americana. Una mossa che lascerebbe in difficoltà numerose imprese occidentali operanti nella zona grigia tra produzioni civili e applicazioni di difesa.
La difficile strada dell’autonomia americana
Washington sta tentando di correre ai ripari, ma la strada verso l’indipendenza appare lunga e tortuosa. Nuovi progetti industriali stanno prendendo forma: la ReElement Technologies, nello stato dell’Indiana, dovrebbe iniziare a produrre ossido di ittrio entro dicembre, con una capacità iniziale di duecento tonnellate annue destinata a raddoppiare in tempi brevi. Un passo importante, ma ancora insufficiente per coprire il fabbisogno nazionale complessivo. Durante la recente visita di Trump in Asia, Stati Uniti e Giappone hanno firmato un accordo per lo sfruttamento congiunto di Minamitori, un gigantesco giacimento sottomarino di terre rare scoperto anni fa nei fondali del Pacifico. Il vero nodo resta la mancanza di una filiera completa, dall’estrazione alla raffinazione. Costruire infrastrutture industriali di questo livello richiede tempo, capitali e soprattutto competenze che non si improvvisano.
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