Una startup italiana, in collaborazione con l’IIT, ha messo a punto un oftalmoscopio innovativo capace di individuare nella retina i primi segnali della malattia neurodegenerativa fino a dieci anni prima della comparsa dei sintomi.
La retina come finestra sul cervello
Rilevare l’Alzheimer osservando l’occhio: quello che fino a qualche anno fa sembrava fantascienza oggi diventa realtà grazie a una scoperta tutta italiana.
D-Tails, startup nata all’interno del Center for Life Nano- & Neuro-Science dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Roma, ha sviluppato un dispositivo che rappresenta un salto tecnologico nella diagnostica delle malattie neurodegenerative. Si tratta di un oftalmoscopio di nuova generazione, capace di scrutare la retina con una precisione mai raggiunta prima. 300 nanometri di risoluzione, sufficienti per individuare microscopici aggregati di proteine che precedono di anni la manifestazione clinica dell’Alzheimer.
Il principio alla base è tanto semplice quanto rivoluzionario. Studi recenti hanno dimostrato che la retina, essendo parte integrante del sistema nervoso centrale, può presentare le stesse alterazioni patologiche del tessuto cerebrale. Fino a una decina di anni fa la comunità scientifica riteneva che l’Alzheimer colpisse esclusivamente il cervello, ma esami autoptici hanno poi rivelato la presenza degli stessi depositi proteici anche nella retina dei pazienti.
Questa scoperta ha aperto una strada inedita. Anziché cercare i segnali della malattia nel cervello, inaccessibile senza procedure invasive, basta “guardare negli occhi”.
Laser e intelligenza artificiale contro i limiti della fisica
Il dispositivo supera quello che in fisica si chiama “limite di diffrazione di Abbe”. Normalmente, più ci si allontana da un oggetto, minore è la risoluzione dell’immagine che se ne può ottenere. Ma l’oftalmoscopio sviluppato da D-Tails aggira questo ostacolo proiettando un raggio laser all’interno della retina. La luce non viene semplicemente riflessa, ma subisce uno scattering, cioè si rifrange nel tessuto come se rimbalzasse su molteplici specchi invisibili. Questo fenomeno, controllato attraverso un sofisticato Digital Mirror Device (specchio digitale, ndr.), equivale ad aumentare artificialmente l’angolo di raccolta della luce. E ciò consente di catturare dettagli fino a 300 nanometri dalla distanza standard di 25 millimetri che separa la retina dalla superficie esterna dell’occhio.
L’intelligenza artificiale entra in gioco nella fase di analisi delle immagini. Una rete neurale è stata addestrata a riconoscere gli aggregati proteici caratteristici dell’Alzheimer, utilizzando un dataset di retine di pazienti affetti dalla patologia. Più dati clinici vengono raccolti, maggiore diventa l’accuratezza del sistema, che oggi si attesta già all’86 per cento. La tecnologia non solo individua la presenza degli aggregati, ma ne registra posizione e dimensioni, permettendo di monitorare nel tempo l’evoluzione della malattia attraverso fotografie successive della retina.
Dai topi all’uomo: la sperimentazione in Cina
I risultati ottenuti sui modelli preclinici sono impressionanti. Negli esperimenti condotti su animali, l’oftalmoscopio ha rilevato i primi segni dell’Alzheimer alla decima settimana di vita, mentre i sintomi si sono manifestati solo tra la sessantesima e la settantesima settimana. Se questo scarto temporale venisse confermato sull’uomo, significherebbe poter diagnosticare la malattia con decenni di anticipo rispetto all’attuale possibilità.
Dopo i test su sistemi simulati, occhi di maiale e campioni umani post mortem, D-Tails ha analizzato un centinaio di pazienti in un ospedale romano. Ora la sperimentazione prosegue in Cina, dove si sta sta lavorando in una struttura dieci volte più grande in termini di afflusso di pazienti. Condizione essenziale per raccogliere dati su larga scala.
Un vantaggio per la ricerca farmaceutica
L’applicazione più immediata di questa tecnologia non riguarda tanto la diagnosi di massa, quanto piuttosto la ricerca farmaceutica. Attualmente i metodi per diagnosticare l’Alzheimer in fase precoce sono invasivi e costosi: si va da punture lombari per analizzare il liquido cerebrospinale a esami PET che possono superare i tremila euro.
Questo rende difficile reclutare migliaia di volontari per i test clinici necessari a validare nuovi farmaci, che per essere efficaci devono essere somministrati nelle fasi iniziali della malattia, quando il danno neuronale è ancora limitato. Un oftalmoscopio economico, rapido e non invasivo cambierebbe radicalmente questo scenario..
Il dispositivo è stato progettato per essere portatile e facilmente utilizzabile in contesti clinici standard. Si posiziona vicino all’occhio del paziente esattamente come durante una normale visita dall’oculista, senza richiedere attrezzature ingombranti o ambienti specializzati.
Questa caratteristica lo rende potenzialmente applicabile anche in centri medici di piccole dimensioni o in programmi di screening su larga scala.
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