La teoria dell’ex ingegnere di Google Raymond Kurzweil: grazie a biologia computazionale, nanotecnologie e interfacce cervello-computer, dopo il 2029 guadagneremo più di un anno di vita per ogni anno vissuto.
Che cos’è la “velocità di fuga della longevità” (LEV)
La “velocità di fuga della longevità” (in inglese longevity escape velocity, LEV) è un concetto secondo cui il progresso medico e tecnologico potrebbe accelerare fino al punto che l’aspettativa di vita media aumenti di più di un anno per ogni anno che passa. In altre parole, potremmo recuperare “tempo sulla Terra”: per ogni anno che viviamo potremmo guadagnarne uno o più. Attenzione, però, non è una promessa di immortalità, ma un traguardo simbolico. Non più un semplice rallentamento dell’invecchiamento, ma una vera corsa in cui la scienza supera il tempo biologico.
Le previsioni di Kurzweil
Raymond Kurzweil, noto ingegnere, inventore e teorico tecnologico, ha dichiarato di aspettarsi che l’umanità raggiunga la LEV già entro il 2029. Durante un’intervista con una società di venture capital, ha spiegato che dopo quella soglia “riavremo indietro più di un anno all’anno”. La sua fiducia si basa su alcuni segnali concreti: il rapido sviluppo dei vaccini mRNA contro il Covid, realizzati in pochi mesi, e l’uso sempre più intenso della biologia simulata (i modelli biologici costruiti su computer per testare farmaci o scenari cellulari).
Secondo Kurzweil, queste tecniche digitali permetteranno di accelerare enormemente la ricerca. A questo si aggiungono le nanotecnologie e le interfacce cervello-computer, che contribuiranno a una comprensione più profonda dell’organismo.
Kurzweil stesso tiene a chiarire che questa previsione non equivale a dichiarare l’immortalità. Anche se riuscissimo a superare l’invecchiamento con la LEV, resterebbero fattori esterni che possono causare la morte: incidenti, violenza o malattie ancora non risolvibili.
Inoltre, non tutti nel mondo hanno lo stesso accesso alle tecnologie più avanzate. Anche se la LEV diventasse realtà in Paesi tecnologicamente sviluppati, il suo impatto globale potrebbe essere limitato da disparità sanitarie.
Una data alternativa
Una data alternativa, citata dallo stesso Kurzweil in altri interventi pubblici, sposta leggermente più avanti l’obiettivo della velocità di fuga della longevità. In questo scenario, il 2032 rappresenterebbe il momento in cui il meccanismo diventerebbe più stabile e misurabile, con un guadagno medio di vita pari o superiore a un anno per ogni anno trascorso. Sarebbe, nelle intenzioni, la fase in cui i progressi medici riuscirebbero non solo a rallentare l’invecchiamento, ma a compensarlo in modo costante, trasformando quella che oggi appare come un’ipotesi teorica in un traguardo osservabile su larga scala.
Anche in questo quadro, però, non si tratterebbe di una sorta di scudo permanente contro ogni rischio. Kurzweil ricorda che incidenti, eventi traumatici o malattie ancora prive di terapie efficaci continuerebbero a rappresentare una minaccia reale. La velocità di fuga della longevità, dunque, non equivarrebbe a una vita “illimitata”, ma a una prospettiva in cui la durata media potrebbe allungarsi in modo significativo, a patto di disporre delle tecnologie e delle cure necessarie. Una possibilità che resta legata ai progressi scientifici dei prossimi anni e, soprattutto, alla loro effettiva accessibilità.
In che modo la scienza avanza
Negli scenari tracciati da Kurzweil, il motore del possibile rallentamento dell’invecchiamento risiede nella convergenza di alcune tecnologie che stanno cambiando il modo stesso in cui studiamo il corpo umano. La biologia computazionale, per esempio, consente di simulare interi processi cellulari su computer: modelli digitali capaci di testare molecole, mRNA e terapie in tempi molto più rapidi rispetto alla ricerca tradizionale. È lo stesso approccio che ha contribuito alla velocità con cui sono stati sviluppati i vaccini contro il Covid, un caso citato spesso come dimostrazione concreta di quanto l’informatica possa accelerare l’innovazione medica. A questa rivoluzione si affiancano le nanotecnologie, con strumenti minuscoli – talvolta invisibili a occhio nudo – progettati per intervenire direttamente all’interno dell’organismo. L’ipotesi, considerata credibile da molti laboratori di ricerca, è che in futuro nanodispositivi capaci di riparare cellule danneggiate o contrastare processi degenerativi possano diventare parte integrante della medicina rigenerativa, contribuendo a rallentare l’usura naturale dei tessuti.
Un altro fronte di sviluppo riguarda le interfacce cervello-computer. Oggi vengono studiate soprattutto per scopi neurologici o per aiutare persone con disabilità motorie, ma potrebbero offrire anche una comprensione più fine dei meccanismi che regolano l’organismo, aprendo spiragli verso trattamenti più personalizzati e interventi mirati sui processi vitali. A collegare questi progressi c’è, nelle parole di Kurzweil, un principio costante: la sua legge dei rendimenti esponenziali. La ricerca, sostiene, non avanza in modo lineare ma accelera, e proprio questa accelerazione renderebbe plausibile immaginare salti sempre più rapidi nella medicina dell’invecchiamento.
Una dinamica che, se confermata, potrebbe cambiare non solo la durata media della vita, ma il modo stesso in cui intendiamo l’età biologica.
Previsione d’impatto
Se la previsione di Kurzweil dovesse trovare conferma, l’impatto sarebbe profondo e visibile su più livelli: dal modo in cui affrontiamo l’età avanzata alla struttura stessa dei sistemi sanitari.
In termini statistici, ogni anno vissuto potrebbe tradursi in un guadagno superiore ai dodici mesi di aspettativa di vita, con un progressivo allungamento della curva demografica e un’età media più alta nei Paesi tecnologicamente avanzati. Non significherebbe affatto vivere per sempre, ma arrivare a età molto avanzate con una qualità della vita migliore, grazie a tecnologie capaci di prevenire o correggere parte dei danni legati all’invecchiamento biologico.
Un simile scenario porrebbe anche nuove questioni sociali e mediche: dalla gestione delle risorse sanitarie all’adeguamento delle politiche sul lavoro e sulla previdenza, fino alla necessità di ripensare il concetto stesso di “vecchiaia”.
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