Un umanoide alto poco più di un metro diventa alleato di medici e pazienti nella lotta al delirium e all’apatia
Nella stanza entra un piccolo robot di nome Pepper, che inizia a parlare con i presenti, informandosi sulla salute, gli hobby e perfino del vino preferito. Non è fantascienza, ma sta accadendo realmente nei reparti di Geriatria del Policlinico San Martino di Genova e nelle abitazioni di alcuni pazienti con declino cognitivo tra Modena e Reggio Emilia. Il protagonista di questa rivoluzione, Pepper, è un umanoide alto un metro e venti, sviluppato dal DIBRIS dell’Università di Genova. Dopo anni di dimostrazioni tecnologiche, questo umanoide partecipa a due studi clinici che potrebbero cambiare il mondo dell’assistenza.
Dall’intrattenimento alla sanità
Trasferire un robot sociale dall’ambiente controllato di un laboratorio ai corridoi di un ospedale non è stata un’impresa banale. La fase di configurazione ha richiesto un lavoro enorme, proprio per l’ambiente ospedaliero. La connessione internet non funziona allo stesso modo in tutte le aree della struttura, molti pazienti hanno difficoltà a sentire o a parlare chiaramente, e interagire con qualcuno che è costretto a letto non è certo la condizione ideale per una conversazione con un robot. Tutte queste difficoltà hanno rappresentato un’occasione di apprendimento fondamentale.
Un robot sociale adattato
Il robot Pepper è stato equipaggiato con funzioni specifiche per rallentare il parlato e ingrandire i testi sul suo tablet integrato, migliorando così la comprensione anche quando i pazienti presentano deficit visivi o uditivi. Gli sviluppatori hanno anche insegnato a Pepper a non interrompere chi parla e a cambiare argomento dopo tre domande consecutive sullo stesso tema, rendendo la conversazione più naturale e meno ripetitiva. Adesso che i primi partecipanti sono stati reclutati per lo studio clinico, inizia la vera sfida: dimostrare che questa tecnologia può fare davvero la differenza.
L’esperienza di Genova
Al Policlinico San Martino di Genova, Alessio Nencioni, docente di Medicina Interna e Geriatria, coordina uno studio che coinvolge pazienti anziani ricoverati dal Pronto Soccorso. Si tratta di persone con un’età media superiore agli 85 anni, che spesso presentano un disturbo dell’attenzione chiamato delirium. Una sorta di alterazione dello stato di coscienza che si manifesta con perdita della capacità di concentrarsi, disorientamento, allucinazioni, agitazione oppure, al contrario, completa apatia. Durante la degenza, Pepper offre tre sessioni quotidiane di quindici minuti ciascuna. In questi incontri il robot conversa liberamente con i pazienti e li aiuta a riorientarsi, ricordando loro il giorno della settimana, l’ora, il luogo in cui si trovano e raccogliendo aneddoti personali che poi riutilizza nelle conversazioni successive.
La battaglia di Pepper contro il delirium in corsia
I primi dodici pazienti coinvolti, con un’età media di 86 anni e per oltre il 90% donne, hanno reagito in modo sorprendentemente positivo. Una signora ha voluto scattare una foto con Pepper per mostrarla alla nipote, un’altra ha telefonato alla figlia ridendo per raccontarle l’incontro con quello che chiamava affettuosamente “Peppe”. Nella fase dello studio, quella in cui si confronta la gestione standard del delirium con quella supportata dal robot, sono già stati arruolati due pazienti. La prima ha valutato l’esperienza positivamente, anche se ha trovato l’umanoide un po’ ripetitivo in alcuni passaggi. Tuttavia, non ha sviluppato delirium durante il ricovero. Il secondo paziente è stato invece assegnato al gruppo di controllo. L’obiettivo è gestire due pazienti alla settimana per completare l’arruolamento nell’arco di un anno.
Dalla corsia a casa: stimolare dialogo e curiosità
Parallelamente all’esperienza genovese, a Modena e Reggio Emilia è partito un altro studio coordinato da Giovanna Zamboni, docente di Neurologia. Qui l’obiettivo è portare il robot sociale Pepper direttamente nelle case di pazienti con disturbo cognitivo. Molte di queste persone, presentano disturbi comportamentali, ma c’è un sintomo particolarmente difficile da gestire con i farmaci tradizionali: l’apatia. Quando questo stato si manifesta, le persone smettono letteralmente di interagire con il mondo che le circonda. L’idea è verificare se un robot che conversa su argomenti specifici di interesse per il paziente possa migliorare questa condizione. Pepper rimarrà nelle abitazioni per sei settimane, controllato da remoto da un operatore, e gli effetti di questa sorta di riabilitazione digitale verranno confrontati con quelli della terapia occupazionale tradizionale.
Pepper, un alleato, non un sostituto
La robotica è un alleato prezioso, ma i ricercatori insistono su un concetto fondamentale: Pepper non sostituisce nessuno, ma integra la cura. E proprio la sua capacità di ascolto sembra essere il vero segreto del successo. In un’epoca in cui il personale sanitario è sempre più sotto pressione e i familiari non sempre possono garantire una presenza costante, avere un dispositivo che dedica tempo ed attenzione al paziente, adattandosi al suo ritmo e alle sue capacità cognitive, rappresenta un’opportunità preziosa. Il robot sociale non si stanca, non perde la pazienza, non ha fretta di concludere la conversazione per passare al prossimo compito.
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