Il declino degli spermatozoi negli ultimi quarant’anni fotografa una società in trasformazione, tra nuovi stili di vita e un futuro demografico incerto
Negli ultimi quarant’anni la concentrazione degli spermatozoi nell’uomo occidentale si è dimezzata. Un fenomeno così marcato che l’Organizzazione mondiale della sanità ha dovuto rivedere più volte i parametri considerati normali per uno spermiogramma, abbassando progressivamente l’asticella di ciò che definisce “sano”. Il tema della fertilità maschile intreccia questioni biologiche, sociali ed economiche che toccano da vicino il futuro del nostro Paese. I dati italiani disegnano un quadro certo: se nel 1950 ogni donna aveva in media 3,79 figli, nel 1980 eravamo già scesi a 1,78, fino ad arrivare all’1,44 del 2021. Le proiezioni per i prossimi decenni sono ancora più severe: si parla di un tasso che potrebbe oscillare tra 1,18 e 1,37 nel 2050, con uno scenario che nel 2100, anche considerando politiche di sostegno alla natalità, difficilmente supererebbe l’1,29. Cifre lontanissime dal 2,1 necessario per garantire il ricambio generazionale.
Quando il corpo maschile diventa specchio della società
Una metanalisi condotta su 185 studi e oltre 42mila uomini ha confermato che nei Paesi occidentali la qualità degli spermatozoi è diminuita drasticamente in poche generazioni. Il fenomeno, almeno per ora, sembra aver risparmiato Sud America, Asia e Africa, suggerendo che le cause vadano cercate negli stili di vita tipici delle società più industrializzate. Gli esperti puntano il dito su una combinazione di fattori: sovrappeso e obesità sempre più diffusi, consumo eccessivo di alcol, fumo, sedentarietà. Tutti elementi che non solo compromettono la capacità riproduttiva, ma minano la salute generale dell’organismo.
L’infertilità maschile predice malattie gravi
Non a caso, gli uomini che manifestano problemi di infertilità presentano statisticamente un profilo sanitario più fragile, con rischi maggiori di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete, ipertensione e persino tumori. La fertilità maschile, insomma, non rappresenta soltanto un parametro riproduttivo, ma funziona come una sorta di cartina di tornasole dello stato di salute complessivo. Quando una coppia fatica a concepire, nel 30% dei casi la causa risiede esclusivamente nell’uomo, eppure ancora troppo spesso il partner maschile non viene sottoposto a controlli approfonditi, nemmeno dopo ripetuti tentativi di procreazione medicalmente assistita.
L’Italia e il mondo: un futuro demografico senza precedenti
Il calo della fertilità maschile si inserisce in uno scenario globale che lascia poco spazio all’ottimismo. Uno studio pubblicato su The Lancet ha calcolato che entro il 2100 il 97% dei Paesi registrerà tassi di natalità inferiori alla soglia di sostituzione. Il tasso medio mondiale, che nel 2021 si attestava a 2,2 nascite per donna, è destinato a scendere a 1,6 entro fine secolo. L’Europa rappresenta l’epicentro di questa trasformazione, con l’Italia in prima linea, oggi ferma a 1,2 figli per donna, tra i valori più bassi al mondo. Le politiche italiane per incentivare le nascite, dai congedi parentali retribuiti ai sussidi per l’assistenza all’infanzia, hanno prodotto effetti limitati: secondo le stime, l’incremento ottenuto non supera le 0,2 nascite aggiuntive per donna. Le conseguenze del mancato ricambio generazionale si traducono in un rapporto sempre più squilibrato tra anziani e popolazione attiva, con pressioni crescenti sui sistemi sanitari e previdenziali. The Lancet suggerisce che l’unica via percorribile passi attraverso politiche migratorie capaci di sostenere la crescita economica e colmare la carenza di manodopera.
L’età non conta solo per le donne
Esiste una narrazione consolidata secondo cui l’orologio biologico riguardi soprattutto le donne. In realtà, anche per gli uomini l’età conta eccome. La tendenza sempre più diffusa a cercare la genitorialità dopo i 35-40 anni riduce drasticamente le probabilità di concepimento naturale. Se dopo i 35 anni la probabilità biologica di avere un figlio cala del 10%, superata la soglia dei 40 il declino diventa precipitoso. Questo vale per entrambi i sessi, anche se nel caso maschile la consapevolezza del problema rimane ancora scarsa. Oggi il 15% delle coppie sperimenta difficoltà nel concepire. Di fronte a questi numeri, diventa fondamentale che anche l’uomo si sottoponga a una valutazione andrologica o urologica tempestiva, riducendo il ricorso a tecniche di procreazione assistita che comportano costi economici ed emotivi considerevoli.
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