Prevenire la demenza a tavola si può: la ricerca giapponese evidenzia un rischio inferiore del 24% con un consumo settimanale negli anziani
La demenza rappresenta oggi una delle emergenze sanitarie più pressanti a livello mondiale. Con l’invecchiamento progressivo della popolazione, il numero di persone che convivono con questa condizione neurologica è destinato a crescere in modo esponenziale nei prossimi decenni. Nel 2021, oltre cinquanta milioni di individui nel mondo affrontavano già questa realtà, e le proiezioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano che la cifra potrebbe triplicare entro la metà del secolo. Per questo la comunità scientifica è alla ricerca di strategie preventive efficaci, concentrandosi soprattutto sui fattori di rischio modificabili attraverso le scelte quotidiane. In questo contesto, l’alimentazione è un terreno promettente. Su questa scia, uno studio giapponese ha portato alla luce un’associazione: consumare formaggio almeno una volta alla settimana potrebbe ridurre significativamente il rischio di sviluppare demenza negli anziani. La ricerca, che ha coinvolto circa ottomila over 65, ha seguito i partecipanti per un periodo di tre anni, monitorando le loro abitudini alimentari e lo stato di salute cognitiva.
Una questione globale con radici locali
Il Giappone da tempo affronta le conseguenze dell’invecchiamento demografico. Nel 2022, la demenza colpiva il 12,3% degli adulti giapponesi sopra i sessantacinque anni, una percentuale che si traduce in circa 4,4 milioni di persone. Le stime prevedono che questo numero raggiungerà i 5,8 milioni entro il 2040, mettendo sotto pressione non solo il sistema sanitario nazionale ma anche le famiglie, che si trovano a dover gestire il peso psicologico e sociale della malattia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto l’urgenza del problema, lanciando già nel 2017 un piano d’azione globale dedicato alla prevenzione, alla diagnosi precoce e allo sviluppo di politiche sanitarie mirate. Dato che le terapie curative rimangono ancora limitate, l’attenzione si è spostata verso strategie preventive che possano intervenire prima che la malattia si manifesti. È qui che entrano in gioco le scelte alimentari: modificare la dieta rappresenta un intervento accessibile e relativamente semplice, che potrebbe fare la differenza su larga scala.
Cosa rende il formaggio interessante per la ricerca
Il formaggio contiene diverse sostanze che potrebbero esercitare effetti protettivi sul cervello. Tra queste, la vitamina K2 gioca un ruolo importante nella salute vascolare e nella regolazione del calcio nell’organismo. Inoltre, fornisce proteine e aminoacidi essenziali che contribuiscono al mantenimento delle cellule nervose. Non bisogna poi dimenticare che molti formaggi sono prodotti attraverso processi di fermentazione, che introducono probiotici e peptidi bioattivi potenzialmente benefici per l’organismo. Alcuni studi precedenti avevano già suggerito che i prodotti lattiero-caseari fermentati potrebbero influenzare l’infiammazione sistemica e quello che i ricercatori chiamano “asse intestino-cervello”, un sistema di comunicazione bidirezionale tra l’apparato digerente e il sistema nervoso centrale. Questi meccanismi sono considerati rilevanti nel processo di declino cognitivo. Inoltre, esiste una correlazione tra il consumo di latticini fermentati e una minore incidenza di malattie cardiovascolari e metaboliche, condizioni che a loro volta rappresentano fattori di rischio noti per lo sviluppo di demenza.
I risultati dello studio giapponese
I ricercatori hanno confrontato le abitudini alimentari di persone che consumavano formaggio regolarmente con quelle di individui che lo mangiavano raramente o mai. I dati hanno mostrato che chi includeva il formaggio nella propria dieta almeno una volta alla settimana aveva una probabilità inferiore del 24% di ricevere una diagnosi di demenza rispetto a chi non ne consumava affatto. In termini assoluti, la demenza ha colpito il 3,4% dei consumatori abituali di formaggio, contro il 4,45% di chi non lo mangiava. Può sembrare una differenza modesta, appena l’1,06%, ma se proiettata su larga scala si traduce in circa dieci casi in meno ogni mille persone. Per uno studio su ottomila partecipanti, si tratta di un risultato che merita attenzione, soprattutto considerando l’entità del problema demenza a livello globale. I ricercatori hanno applicato metodi statistici rigorosi per tenere conto di variabili confondenti come l’età, il sesso, le condizioni di salute generali e il contesto socioeconomico dei partecipanti.
Cautela nell’interpretazione
Nonostante i risultati promettenti, gli stessi autori dello studio invitano alla prudenza. La ricerca adotta infatti un disegno osservazionale, che permette di identificare associazioni ma non di stabilire con certezza un rapporto di causa-effetto diretto. In altre parole, non si può affermare con assoluta certezza che sia il formaggio in sé a prevenire la demenza. Potrebbero entrare in gioco altri elementi legati allo stile di vita complessivo delle persone che mangiano formaggio regolarmente. Forse seguono una dieta più equilibrata in generale, o hanno abitudini sociali diverse, o ancora presentano caratteristiche genetiche particolari. Inoltre, lo studio non ha differenziato tra i vari tipi di formaggio consumati, che possono variare notevolmente per contenuto nutrizionale, metodi di produzione e presenza di sostanze bioattive. Un formaggio fresco ha caratteristiche diverse da uno stagionato, così come un formaggio a pasta dura differisce sostanzialmente da uno spalmabile.
Prospettive future
Lo studio rappresenta un tassello importante nel mosaico della ricerca sulla prevenzione della demenza attraverso l’alimentazione, ma non fornisce ancora tutte le risposte. Serviranno ulteriori ricerche, possibilmente con studi di intervento controllati, per confermare questi risultati e chiarire i meccanismi biologici coinvolti. Sarebbe interessante, per esempio, indagare se esistono quantità ottimali di consumo o se certi tipi di formaggio offrono maggiori benefici rispetto ad altri. Nel frattempo, includere il formaggio con moderazione in una dieta varia ed equilibrata non comporta rischi per la maggior parte delle persone e potrebbe offrire vantaggi che vanno oltre il semplice piacere del palato. Naturalmente, come per qualsiasi alimento, il contesto generale della dieta rimane fondamentale: nessun singolo cibo può fare miracoli se inserito in un regime alimentare complessivamente squilibrato.
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