Gli esperimenti di “semina delle nuvole” nella capitale indiana falliscono per mancanza di umidità e copertura nuvolosa. Mentre il governo Modi spende centinaia di migliaia di dollari in una tecnologia dagli esiti incerti, le polveri sottili restano 20 volte oltre i limiti.
Una nuvola di speranze (per ora) svanite
New Delhi torna a soffocare. Come ogni autunno, quando le festività religiose si concludono e le temperature cominciano a scendere, la megalopoli indiana di oltre 30 milioni di abitanti si ritrova avvolta in una coltre soffocante di polveri sottili. Quest’anno però c’era una promessa diversa nell’aria. Il governo del Bharatiya Janata Party aveva annunciato una soluzione tecnologica d’avanguardia per abbattere l’inquinamento. Si trattava del “cloud seeding”, la semina artificiale delle nuvole per provocare precipitazioni capaci di ripulire l’atmosfera.
A fine ottobre sono partiti i primi esperimenti, condotti in collaborazione con l’Indian Institute of Technology di Kanpur. Un aereo Cessna ha sorvolato alcune aree della città rilasciando particelle chimiche nelle nuvole. Ma i risultati sono stati deludenti: nessuna pioggia significativa, nessun miglioramento della qualità dell’aria. Il giorno successivo al primo tentativo, i livelli di particolato PM2.5 hanno raggiunto quota 323, oltre venti volte i limiti giornalieri raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il problema alla radice di questo fallimento è tanto semplice quanto prevedibile. Il cloud seeding richiede condizioni atmosferiche precise che l’inverno di Delhi non è in grado di garantire. Servono nuvole ricche di umidità, e servono a bassa quota, perché i piccoli aerei da turismo impiegati in queste operazioni non possono volare oltre certe altitudini. Ma i mesi freddi e secchi della capitale indiana sono caratterizzati da cieli limpidi e un tasso di umidità che raramente supera il 15-20 per cento, molto al di sotto del 50 per cento necessario per innescare precipitazioni artificiali.
Gli scienziati lo sapevano benché prima dell’inizio degli esperimenti, eppure il governo ha deciso di procedere comunque, investendo circa 364mila dollari in una sperimentazione che molti hanno definito uno spettacolo costoso e inutile.
La tecnologia che promette di controllare il cielo
Ma cosa significa esattamente seminare le nuvole? Il “cloud seeding” è una tecnica di modificazione meteorologica che risale agli anni Quaranta. Nel 1946 il chimico Vincent Schaefer, ricercatore presso i laboratori della General Electric, scoprì che introducendo ghiaccio secco nelle nuvole sovra-rafreddate era possibile innescare precipitazioni. Poco dopo il collega Bernard Vonnegut trovò che lo ioduro d’argento funzionava ancora meglio come agente nucleante. Il principio è relativamente semplice: in natura le goccioline d’acqua presenti nelle nuvole si aggregano attorno a particelle microscopiche di polvere, polline o sale marino. Quando raggiungono dimensioni sufficienti, cadono sotto forma di pioggia o neve. Il cloud seeding ricrea artificialmente questo processo disperdendo nell’atmosfera sostanze chimiche che fungono da nuclei di condensazione. Vengono utilizzati principalmente ioduro d’argento, cloruro di sodio, ghiaccio secco o cloruro di calcio, a seconda del tipo di nuvola e delle condizioni atmosferiche.
La dispersione avviene attraverso aerei attrezzati, generatori a terra, razzi o, nelle applicazioni più recenti, droni. L’obiettivo dichiarato è aumentare le precipitazioni in regioni aride, rifornire bacini idrici, prevenire grandinate dannose per l’agricoltura o, come nel caso di Delhi, lavare via l’inquinamento atmosferico.
Il problema è: funziona davvero? Sul tema, la comunità scientifica resta divisa. Un rapporto del National Research Council statunitense del 2003 concludeva che non esistevano prove convincenti dell’efficacia del cloud seeding. Uno studio più recente del 2019, noto come progetto SNOWIE e condotto dal National Center for Atmospheric Research, ha fornito per la prima volta misurazioni dirette di incrementi nelle precipitazioni. Tuttavia, gli autori hanno sottolineato che i benefici si vedono principalmente nel lungo periodo e attraverso l’accumulo di neve, non come soluzione d’emergenza.
Tra espedienti e responsabilità politiche
L’India è tuttora “annebbiata” da una coltre di smog imponente. Di fronte a questa emergenza sanitaria, le autorità di Delhi continuano a proporre soluzioni che appaiono più come diversivi che come strategie efficaci.
Oltre al cloud seeding, sono stati introdotti petardi ecologici per la festa di Diwali, il divieto di accendere i forni tandoori, camion che spruzzano acqua per abbattere le polveri sottili. Misure che sono indolori politicamente ma anche tragicamente inefficaci.
Il problema non è solo indiano. Esperimenti simili di cloud seeding per combattere l’inquinamento erano già falliti in altre metropoli asiatiche come Lahore, Bangkok, Kuala Lumpur, Pechino e Chiang Mai. La tecnologia funziona meglio quando l’obiettivo è aumentare gradualmente le riserve idriche in regioni aride, non quando viene spacciata come panacea per crisi ambientali acute. I critici fanno inoltre notare che il cloud seeding solleva questioni etiche e geopolitiche rilevanti: modificare i pattern meteorologici in una regione può privare d’acqua territori vicini.
Nel 2020 la Cina ha annunciato il piano Sky River per deviare il vapore acqueo dal bacino dello Yangtze a quello del Fiume Giallo, un’operazione di cloud seeding che coprirebbe un’area grande quanto metà dell’India. Un piano che ha sollevato non pochi interrogativi su chi controlli il cielo e come si distribuisca equamente l’acqua.
Un problema per centinaia di milioni di persone
Mentre il governo del Bharatiya Janata Party continua a promuovere il cloud seeding come parte della sua narrativa di fiducia nel progresso tecnologico, i residenti di Delhi si confrontano quotidianamente con una realtà fatta di tosse, occhi che bruciano, difficoltà respiratorie.
La capitale indiana, insieme alle città satellite che formano la sua area metropolitana, ospita circa 40 milioni di persone che per settimane ogni anno devono convivere con un’aria tossica. Nonostante il governo abbia imposto divieti edilizi, limitazioni ai generatori diesel e dispiegato cannoni anti-smog, l’inquinamento resta a livelli da codice rosso. E la vicenda del cloud seeding a Delhi dimostra come le soluzioni tecnologiche, per quanto affascinanti, non possano sostituire scelte politiche coraggiose e investimenti strutturali.
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