Dall’oro di Tokyo all’argento mondiale, l’atleta sogna le Olimpiadi a Los Angeles. «L’obiettivo sarà salire sul podio»
Anche camminando, o meglio ‘marciando, si può andare molto lontano. Sembra essere questo il pensiero ispiratore di Antonella Palmisano, vedette dell’atletica leggera italiana, campionessa della marcia. Spicca nel palmares della 34enne pugliese la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo 2020, ma anche le prestigiose affermazioni ai campionati mondiali, europei e italiani. La marcia, una scelta particolare quella fatta sin da giovanissima da Antonella, che racconta la sua vita di marciatrice a 50&Più.
Antonella Palmisano, partiamo proprio dall’oro di Tokyo…
Sì, per me Tokyo è una città magica. Dopo i Giochi Olimpici, si sono svolti lì anche i recenti mondiali che per me hanno voluto dire un argento. Alle Olimpiadi sono giunta dopo un infortunio, anzi con il mio staff si pensava di non gareggiare, poi la passione, il sacrificio, l’impegno hanno avuto la meglio ed è arrivato l’oro nella 20 chilometri.
Come ci si prepara ad affrontare distanze così lunghe?
Per la verità ai mondiali ho effettuato anche una 35 chilometri che si percorre in oltre 2 ore e mezza, quasi il doppio della 20. Quello che ti consente di percorrere queste distanze sicuramente è l’allenamento costante. Bisogna rispettare una disciplina giornaliera.
Nel suo sport le sconfitte possono insegnare qualcosa di importante come le vittorie?
Sicuramente. Ti danno lo sprone per migliorare sempre di più. Così è successo prima di Tokyo o quando mi sono ritirata perché avevo contratto il Covid. Le vittorie importanti sono sempre arrivate dopo le delusioni. Sono vere e proprie ferite che sei chiamata a lenire e a curare, e la migliore cura è arrivare alla vittoria. Ma alla base c’è anche il rispetto per le atlete che sono più forti e ti battono. È il caso della spagnola Maria Perez, antagonista, ma anche amica, che ha vinto i recenti Mondiali a Tokyo. Io sono arrivata alle sue spalle, ma ci siamo comunque abbracciate, ognuna con la sua bandiera nazionale. Lo sport deve essere determinazione, ma anche leggerezza nell’accettare quello che viene. È un po’ la metafora della vita: mai abbattersi, ma ripartire subito.
Rimarranno storiche le immagini di quando è arrivata alle spalle della Perez. Era in difficoltà a causa della grande umidità e proprio lei le è venuta in soccorso.
Sì, mi ha slacciato le scarpe, mi ha dato l’asciugamano e la bandiera italiana e dopo abbiamo festeggiato insieme. Mi ha onorato il fatto che, quasi scusandosi di aver battuto me che sono il suo modello, si è inchinata. Noi due ci alleniamo insieme, quindi conosciamo pregi e difetti l’una dell’altra. Poi è chiaro che, oltre all’amicizia, c’è un sano antagonismo che ci spinge a dare sempre il meglio.
Parliamo degli aspetti tecnici della marcia. A differenza di quello che si possa pensare, ci sono tante regole da rispettare, non è solo un camminare veloci.
Sì, uno dei due piedi deve sempre essere a contatto con il terreno e la gamba avanzante deve essere tesa. La marcia è una disciplina molto tecnica, molto più della corsa. Tutti sanno correre, ma non tutti sanno marciare. Per questo nelle nostre gare i giudici sono particolarmente attenti allo stile corretto dei corridori, infliggendo penalità e squalifiche.
Perché da bambina ha scelto la marcia e non un altro sport?
All’inizio ho provato a correre nel fondo e in un campionato italiano arrivai 69ª. Poi un allenatore di marcia mi propose di provare con questa disciplina e dopo sei mesi vinsi il titolo italiano. Era più spontaneo per me marciare rispetto alla corsa. Diciamo che è la marcia che ha scelto me e non il contrario.
Antonella, perché tra le varie discipline dell’atletica la marcia è considerata meno pur avendo un alto quoziente di spettacolarità?
Questo è un argomento centrale proprio in questo periodo. Di solito ci fanno gareggiare in orari improbabili. Forse siamo anche penalizzati dal fatto che il più delle volte gareggiamo su strada e non in pista, a parte l’arrivo. Ma anche il ciclismo ha questa caratteristica e non viene messo da parte per questo. Diciamo che siamo poco visibili, ma regaliamo sempre tante emozioni agli appassionati. Del resto la marcia, come la maratona, mette a dura prova il fisico degli atleti anche più preparati e troppe modifiche non possono essere fatte.
L’Italia ha una grande tradizione nella marcia. Campioni olimpionici come Pietro Dordoni, Abdon Pamich hanno fatto da traino anche all’affermazione della marcia femminile?
Sicuramente. Già diversi anni fa si mise in luce Annarita Sidoti e, insieme a lei, altre atlete. È un cammino culminato con la mia medaglia d’oro olimpica. Inoltre vedo un futuro decisamente roseo. Ci sono oggi giovani atlete che realizzano tempi migliori dei miei e sono candidate a primeggiare prossimamente. E questo mi fa piacere, perché vuol dire che c’è una continuità nel nostro movimento.
Stai già pensando alla prossima Olimpiade?
Beh, Los Angeles 2028 è lontana e comunque avrò tre anni di più. Adotto una politica dei piccoli passi. Se sarò competitiva ci sarò e l’obiettivo, ancora una volta, sarà quello di salire sul podio con il tricolore sulle spalle.
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