L’evento nell’antico convento di San Marco e a Palazzo Strozzi riunisce 140 opere tra dipinti, disegni, sculture e miniature, grazie a prestiti di oltre 70 musei, dal Louvre di Parigi al Metropolitan Museum of Art di New York e i Musei Vaticani
«Se avesse voluto, avrebbe potuto vivere nel mondo in modo molto agiato e diventare ricco grazie alla sua arte, poiché fin da giovane era già un maestro. Invece, essendo devoto di natura, scelse di entrare nell’ordine domenicano». Così scrive Giorgio Vasari nelle sue celebri biografie d’artista a proposito di frate Giovanni da Fiesole (1395 ca.-1455) – al secolo Guido di Piero o ‘Guidolino’ – per il fisico minuto, noto subito dopo la morte come Beato Angelico, per la santità di vita e arte, tanto che il 3 ottobre 1982 Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato e patrono universale degli artisti.
Nato intorno alla fine del 1300 in Mugello, divenne frate in età adulta, presso il convento osservante dell’ordine domenicano di Fiesole, dove abitò a lungo, ricoprendo più volte il ruolo di vicario e priore. Qui ebbe anche bottega perché, come ci ricorda sempre l’autore delle Vite, «Guido […] oltre che ottimo religioso» fu anche «eccellente pittore e miniatore». «Era solito non ritoccare o racconciare alcuna sua dipintura, ma lasciarle sempre in quel modo che erano venute la prima volta, per credere (secondo che egli diceva) che così fusse la volontà di Dio». Vasari aveva compreso la capacità di Beato Angelico di parlare al cuore dell’uomo, alla sete di bellezza e infinito, attraverso la sacralità dei colori e dell’oro e la concretezza umana dei protagonisti delle sue pale d’altare.
In questi mesi una importante mostra di studio celebra a Firenze il frate che predicava con il pennello, a distanza di settant’anni dalla precedente monografica – era il 1955 – in occasione del cinquecentenario della morte. Nelle due sedi – l’antico convento di San Marco e Palazzo Strozzi – la mostra, a cura di Carl Brandon Strehlke, con Angelo Tartuferi e Stefano Casciu riunisce 140 opere tra dipinti, disegni, sculture e miniature, grazie a prestiti di oltre 70 musei, quali il Louvre di Parigi, la Gemäldegalerie di Berlino, il Metropolitan Museum of Art di New York, la National Gallery di Washington, i Musei Vaticani, la Alte Pinakothek di Monaco, il Rijksmuseum di Amsterdam, oltre a biblioteche e collezioni italiane e internazionali, chiese e istituzioni territoriali. Quattro anni di studi e ricerche per ricomporre pale d’altare smembrate e disperse per il mondo da secoli, come quella di San Marco, commissionata da Cosimo de Medici, «di cui sono state recuperate diciassette parti su diciotto, grazie a nove prestatori da tutto il mondo. Ricucire insieme tutte queste opere d’arte ed esporle a Firenze è stato davvero un grande lavoro!», racconta Strehlke. Importanti anche i restauri, compiuti dal 1955 ad anni recenti e in occasione della mostra, come quello che ha interessato la Pala di San Domenico a Fiesole, il convento dove il pittore divenne frate: un’operazione che ha svelato, sotto successivi interventi pittorici cinquecenteschi, la magistrale prospettiva con cui originariamente era reso il trono della Vergine.
Il percorso espositivo inizia a San Marco. Negli ambienti un tempo attraversati e vissuti da Angelico e dai suoi confratelli, si riflette sulla prima fase artistica del pittore, sulla formazione e sulle prime opere, che affondano nel tardo gotico ma profumano già di Rinascimento. Nella quiete delle celle dei monaci, la pittura torna a essere meditazione e preghiera. La sua luce, spiega il curatore, «è una luce naturale, ma anche sacra e divina. I suoi dipinti invitano alla preghiera e alla meditazione e sono una fonte di ispirazione anche per l’arte contemporanea, persino per quella non figurativa».
Nella biblioteca del convento, progettata da Michelozzo e prima biblioteca pubblica dell’epoca moderna, è riunita la produzione miniaturistica dell’artista, della sua cerchia e dei suoi predecessori: opere finissime, lavorate in punta di pennello con pigmenti preziosi.
A Palazzo Strozzi sono esposte in particolare le grandi pale d’altare commissionate a Firenze e oltre i confini della Toscana, capolavori che riflettono in particolare il mecenatismo colto e lungimirante dei Medici, in un’epoca fervida che vide attivi insieme ad Angelico, Lorenzo Monaco, Masolino, Gentile da Fabriano, Filippo Lippi e Masaccio, ma anche Ghiberti, Luca della Robbia, Donatello e Brunelleschi. La sequenza delle sale, che segue Angelico tra Roma, dove fu chiamato da Eugenio IV a operare a Palazzo Vaticano e in San Pietro, Orvieto, e ancora Roma, nel convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, dove è sepolto, mette in atto una narrazione luminosa, quasi musicale. Maestro della luce, della prospettiva e del colore, Angelico seppe coniugare tardo gotico, di cui apprezzò lo splendore materico, per lui riflesso di quello divino, l’attenzione al dettaglio e alla verità della natura e il gusto per il racconto, e Rinascimento, confrontandosi con Masaccio, scomparso prematuramente, del quale va considerato uno “spirito artistico complementare”.
Mistico e spirituale, dunque, ma anche pienamente immerso nelle concrete e umane novità del suo tempo, come scrive il curatore: «Nel 1970, in un meraviglioso saggio intitolato Il beato propagandista del Paradiso, Elsa Morante si chiedeva: «Ha partecipato, Guido di Pietro, alla rivoluzione?». Si riferiva alla rivoluzione delle arti durante il Rinascimento. In questa mostra intendiamo affermare che sì, Fra Giovanni vi ha partecipato».
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