Entrambi nelle sale cinematografiche a novembre, sono un ritratto dei cantautori italiani. Il cantante campano commenta: «Con questo film voglio dare voce a chi non ce l’ha». Per il rocker fiorentino «Abbiamo bisogno di storie vere»
Piero Pelù e Nino D’Angelo. Due artisti lontani per genere musicale e percorso ma accomunati dalla capacità di raccontarsi con sincerità al pubblico.
Escono nelle sale a novembre, dopo la presentazione all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, i documentari Piero Pelù. Rumore dentro e Nino. 18 giorni. Due ritratti d’autore carichi di emozione che raccontano la vita e la carriera di questi due cantautori italiani, esseri umani che hanno trasformato anche il dolore e le cadute in arte.
Piero Pelù. Rumore dentro, diretto da Francesco Fei, è un racconto onesto, umano, dove il rocker fiorentino, co-fondatore dei Litfiba, si mostra senza filtri e senza maschere.
Tre anni fa, durante una sessione di registrazione, un improvviso shock acustico, causato da un errore tecnico nel cambio di cuffie, ha provocato a Pelù un danno permanente al nervo acustico, con il quale il cantante continua a combattere ancora oggi. L’incidente ha portato la cancellazione di un tour già programmato e il rischio di dover sospendere ogni performance live.
Quel “rumore dentro”, l’acufene, per Pelù è diventato, però, un’occasione forzata per fermarsi, ritrovarsi, in qualche modo rinascere, scrivendo un nuovo album dedicato ai deserti interiori, grazie anche a un viaggio spirituale a Saintes-Maries-de-la-Mer, in Camargue, Francia, in onore di Santa Sarah, la Nera protettrice dei viaggiatori. Ad arricchire il film, una selezione di video e immagini di repertorio.
«Abbiamo bisogno di storie vere – ha detto Pelù nel corso della presentazione a Venezia del film -. L’incidente che ho avuto sta condizionando molto la mia vita e la mia quotidianità. Il mio legame con la musica prima era diretto, ora è mediato da strumenti come le cuffie di protezione per le orecchie. Ho conosciuto la depressione e ho imparato a non sottovalutare la solitudine. Ma sto continuando a lottare con le unghie e con i denti».
Il documentario arriverà nelle sale italiane il 10, 11 e 12 novembre, distribuito da Nexo Studios, con delle anteprime il 5 novembre al Festival dei Popoli di Firenze, il 6 a Milano e il 7 a Roma.
Nino. 18 giorni non è solo un documentario su Nino D’Angelo, ma una lettera d’amore di un figlio a un padre. A dirigere il film è Toni D’Angelo che ha scelto, attraverso interviste e materiali di archivio, molto privati, di regalare al pubblico un ritratto tenero e sincero del padre fatto di identità, radici e anche fragilità.
Il regista accompagna Nino D’Angelo lungo le tappe del suo ultimo tour e, allo stesso tempo, lo conduce nei luoghi delle sue origini: San Pietro a Patierno, Casoria, la Napoli di ieri e di oggi, una città che nel corso del tempo è cambiata profondamente. Ma il vero viaggio è quello emotivo: un confronto generazionale, un riavvicinamento che si nutre di domande rimaste a lungo senza risposta.
Il titolo del film fa riferimento ai 18 giorni che Nino trascorse lontano da casa, a Palermo, quando nacque Toni. All’epoca, era impegnato con la sua prima sceneggiata teatrale che lo catapultò al successo. Oggi, quel tempo perduto diventa il pretesto per ricucire un rapporto e comprendere chi fosse davvero Nino D’Angelo negli Anni ’80: l’uomo dietro al caschetto biondo più famoso d’Italia, dopo quello di Raffaella Carrà, e dietro a delle hit come ’Nu jeans e ’na maglietta.
Nino. 18 giorni cerca di andare oltre l’icona pop, spesso associata a un’immagine stereotipata di Napoli. Come ha spiegato il regista alla presentazione ufficiale del film a Venezia, «era importante che non ci si limitasse a parlare di Napoli, della camorra e degli Anni ’80. Ho sentito l’esigenza di raccontare mio padre anche per raccontare me stesso. Bastava osservarlo. Lui mi ha parlato molto anche attraverso il silenzio. Mio padre ha avuto due vite: quella di Gaetano e poi c’è Nino D’Angelo. È stato importante che facessi questo film perché ci voleva qualcuno che affrontasse il personaggio non con superficialità».
Nino D’Angelo si mostra sul grande schermo con autenticità. Ricorda la povertà, il sacrificio, il bisogno di dare voce a chi non ce l’ha. «Il premio più bello me lo ha dato la vita: mio figlio ha fatto un film su di me – ha detto il cantante campano, 68 anni, sempre a Venezia -. Non è stato facile raccontarmi, l’ho fatto nel teatro e in tutto. Sono stato un uomo fortunato, ho avuto quello che molti non hanno. Con questo film voglio dare la voce a qualcuno che non ce l’ha. Voglio che l’uguaglianza sia qualcosa di vero. I miei figli sono nati borghesi, hanno potuto studiare. Io no, non ho avuto nulla e ho dovuto aiutare mio padre. Sono arrivato qui a Venezia, qualcosa di impensabile da ragazzo. Stanno proiettando un film sulla mia vita girato da mio figlio. Sono felice per me, per lui e per le tante persone che vedendo questo film penseranno di potercela fare anche loro».
Prodotto da Isola Produzioni con Rai Cinema, Nino. 18 giorni sarà distribuito nelle sale da Nexo Studios dal 20 novembre.
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