Filomena Di Gennaro oggi ha 47 anni. Il 13 gennaio del 2006, il suo ex fidanzato – con un colpo di pistola – la condanna a vivere su una sedia a rotelle. È moglie e madre e nelle scuole si occupa di contrasto alla violenza sulle donne. La sua storia è alle pagine 60 e 61 di questo numero, immediatamente prima di un’altra storia, quella di Fedele Salvatore, coordinatore nazionale del Progetto Respiro, una rete che si occupa degli orfani di femminicidio. A loro due abbiamo voluto dedicare uno speciale, proprio nel mese in cui ricade la Giornata Internazionale della lotta alla violenza sulle donne. Abbiamo deciso di farlo perché i femminicidi – che volutamente non definisco un argomento o un tema – devono continuare a essere nell’agenda politica di questo Paese; devono continuare a essere un peso sulle coscienze di tutti. In una società in cui l’indignazione non basta più, sono necessarie azioni concrete, a partire dalla prevenzione. E allora iniziamo dall’educazione culturale, iniziamo a lavorare nelle scuole (come fa Filomena) e nella società, con l’obiettivo di smantellare gli stereotipi di genere e la cultura del possesso, perché sono queste le radici da cui si genera la violenza. Insegnare il rispetto, il consenso e l’uguaglianza fin dalla più tenera età devono diventare imperativi categorici. Tutto questo serve, ovviamente, ma non basta. Garantire l’applicazione rigorosa delle leggi e di procedure rapide ed efficaci per tutelare le donne che denunciano, interrompendo immediatamente la spirale di minacce e violenza, è un altro passo importante da compiere. Centri antiviolenza, case rifugio, progetti di recupero e inclusione devono – ancora di più – essere spazi di cura, oasi disseminate nelle città. La famiglia, la politica, la scuola, la giustizia e i movimenti sociali devono fare rete, devono diventare strumenti sinergici per la composizione di un percorso blindato che non lasci spazio a insidie, perché nessuno di questi protagonisti è esente dall’impegno e dalla lotta alla violenza. Non si tratta di un semplice auspicio di collaborazione, ma la dichiarazione di un necessario modello operativo. La violenza sulle donne è un fenomeno complesso e multidimensionale, e per sua natura non può essere sconfitto da un singolo attore istituzionale o sociale. Richiede una risposta altrettanto complessa e interconnessa, che non lasci varchi. Le storie che raccontiamo in questo numero diventano quindi richiami a una responsabilità collettiva. Care lettrici e cari lettori, le panchine rosse non bastano più. Per quanto la nostra tradizione ci porti a enfatizzare simboli, dobbiamo acquisire la consapevolezza che oggi fare rete è la via da seguire affinché le maglie della società sana diventino talmente tanto strette da rendere impenetrabile l’accesso della violenza, della sottomissione e della paura.
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