I meno giovani beneficiano grandemente di un contesto gentile che rallenta il passo e si mette in ascolto, e in un mondo più gentile trovano lo spazio per esprimersi al meglio
A novembre, un mese che vede le giornate accorciarsi e l’umore incupirsi (quantomeno nell’emisfero nord), il mondo celebra la Giornata internazionale della Gentilezza, il 13 di novembre. È una data simbolica che ci ricorda una piccola, grande, ma saggia, verità: i piccoli gesti di attenzione e cura fanno concretamente la differenza tanto su chi li riceve quanto su chi li fa. Studi di ricerca hanno infatti già dimostrato da tempo anche un singolo atto di gentilezza può migliorare l’umore non solo di chi lo riceve, ma anche di chi lo compie, con effetti misurabili sul benessere psicologico. Questo vale per tutti, ma con impatto maggiore proprio agli estremi generazionali. I più giovani dall’esempio apprendono il futuro; Cristiana Guido, psicologa, spiega, in una bella intervista in queste pagine, come l’insegnamento alla gentilezza sia importante già nell’età evolutiva e come inizi sempre in famiglia, attraverso le parole e i piccoli gesti. I meno giovani, d’altra parte, beneficiano grandemente di un contesto gentile che rallenta il passo e si mette in ascolto, e in un mondo più gentile trovano lo spazio per esprimersi al meglio. In un contesto sociale spesso frammentato, questi comportamenti di gentilezza assumono quindi un valore pubblico, oltre che individuale, sono il “soft power”, il “potere gentile”, dolce che cambia le cose. Non si tratta soltanto di un fatto morale o relazionale: la gentilezza possiede un potere trasformativo, capace di modificare le circostanze e di incidere positivamente sugli esiti delle situazioni, personali e collettive. È una competenza sociale che sostiene la coesione e contribuisce al benessere diffuso. Il garbo e la cortesia non sono soltanto virtù private: costituiscono strumenti di benessere sociale, capaci di ridurre le tensioni e di favorire forme di cooperazione più stabili. Secondo il World Happiness Report, i Paesi con alti livelli di fiducia interpersonale e comportamenti collaborativi mostrano indicatori di qualità della vita significativamente migliori. La gentilezza, in questa prospettiva, si configura come una politica quotidiana del bene comune. Per questo motivo, il numero di novembre del nostro periodico dedica il “Primo piano” a questo tema, condividendo esperienze e testimonianze che mostrano come l’attenzione agli altri possa contrastare la solitudine e l’isolamento, con il racconto del progetto ‘Costruiamo gentilezza’ e la presentazione del “Club Gentilezza da asporto”, in cui bambini e ragazzi realizzano piccoli oggetti artigianali con materiali semplici e li portano in dono agli anziani del proprio paese e dei centri limitrofi. È un gesto simbolico, ma dal forte impatto sull’umore delle persone sole, sul carattere dei bambini, sulla qualità delle comunità. In fondo, essere gentili significa dire implicitamente all’altro: “ti vedo, e non sei solo”.
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