Lavoro, cura e preghiera: l’istituto pontificio Giovanni Paolo II riconosce la spiritualità del lavoro domestico e della cura familiare
Nelle aule del Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, per la prima volta si parla di faccende domestiche, di assistenza quotidiana agli anziani, di quella fatica invisibile che tiene insieme le famiglie. Per secoli la riflessione spirituale ha guardato altrove: ai monasteri, ai deserti, alla contemplazione distaccata dal mondo. Ma la spiritualità dello spazzolone – come l’ha battezzata qualcuno con una punta di ironia– sta conquistando il suo spazio accademico. Perché preparare da mangiare, assistere un genitore anziano, pulire il bagno o accompagnare i figli può trasformarsi in autentico cammino di fede.
Il lavoro invisibile diventa materia di studio
«Stiamo imparando a dare valore cristiano anche a queste pratiche che fino a qualche anno fa venivano portate a termine in modo automatico, senza teorizzare», spiega su Avvenire Claudia Leal, docente di teologia morale. La dottrina guarda alla quotidianità familiare non come a un territorio di serie B rispetto alle grandi questioni teologiche, ma come a un terreno di spiritualità autentica. L’iniziativa dell’Istituto per l’anno accademico 2025-2026 segna una svolta culturale oltre che pastorale. Il programma “Vicino alle famiglie: percorsi di pastorale familiare” apre le porte non solo agli studenti tradizionali, ma a tutti i professionisti e gli operatori che lavorano a contatto con le dinamiche familiari. Assistenti sociali, educatori, operatori sanitari, volontari: chiunque può iscriversi, anche senza titoli di studio pregressi, e seguire i corsi online o in presenza.
Dalla teoria alla vita reale
I percorsi proposti toccano i diversi aspetti dell’esistenza familiare moderna. Si va dal sostegno alla genitorialità – con corsi sull’educazione degli adolescenti e persino sull’impatto dell’intelligenza artificiale in famiglia –. Fino all’approfondimento sulla spiritualità dello spazzolone vera e propria, con moduli dedicati alla spiritualità della maternità e all’etica degli affetti. Ma la vera svolta, il punto cruciale, è proprio sul fronte della cura. Per decenni, infatti, la teologia del matrimonio ha esplorato la sessualità, il tempo libero, l’impegno sociale. Mancava però un tassello fondamentale: quel lavoro quotidiano, ripetitivo, spesso alienante che rappresenta l’ossatura della vita domestica. Stirare, cucinare, medicare, accompagnare: gesti che si ripetono migliaia di volte nell’arco dell’esistenza.
I caregiver familiari escono dall’ombra
«Non era più possibile escludere dalla ricerca teologica l’impegno di tante mamme, di tanti genitori, ma anche di tanti nonni che spendono la vita per accompagnare soprattutto bambini e anziani», sottolinea ancora Claudia Leal. Del resto in Italia sono oltre otto milioni le persone che si occupano quotidianamente di un familiare non autosufficiente. Una presenza invisibile ma determinante, soprattutto in una società in così rapido invecchiamento. La “spiritualità dello spazzolone” assume quindi un significato particolare quando si parla di assistenza agli anziani. Accompagnare un genitore nell’ultimo tratto della vita, gestire le sue necessità quotidiane, mantenere la dignità nella fragilità: sono esperienze che milioni di italiani vivono ogni giorno e che finalmente trovano una cornice di senso anche sul piano spirituale. Non si tratta più di un sacrificio muto da sopportare, ma di un percorso che può arricchire chi lo compie.
Offrire dignità teologica alla quotidianità
Questa è la vera innovazione. Per secoli i modelli di santità proposti dalla Chiesa hanno guardato alla vita contemplativa, al distacco dal mondo, alla preghiera solitaria. Figure lontane anni luce dalla realtà di chi deve alzarsi la notte per un bambino che piange o per un anziano che ha bisogno di assistenza. Come può una madre di tre figli o un figlio che assiste genitori malati trovare ispirazione nei padri del deserto? La risposta dell’Istituto Giovanni Paolo II è quella di cercare la spiritualità nella propria condizione ordinaria. Smettendo di guardare altrove e iniziando a riconoscere il valore sacro di ciò che già si fa.
Un cambiamento culturale necessario
Il lavoro di cura – domestico, familiare, assistenziale – resta in Italia largamente sulle spalle delle donne e sempre più spesso dei familiari anziani stessi. Riconoscerne il valore spirituale non risolve le questioni pratiche legate alla sua distribuzione o al suo riconoscimento economico, ma rappresenta un primo passo per sottrarlo all’invisibilità. Come osserva Claudia Leal, «sono proprio questi caregiver familiari che spesso determinano il successo della nostra vita, come individui e come società». Eppure, fino a oggi la riflessione pastorale li aveva relegati ai margini, come se il loro impegno fosse troppo banale per meritare attenzione teologica. L’apertura dei corsi anche a chi non ha titoli di studio pregressi è un segnale importante: la spiritualità dello spazzolone non è roba per addetti ai lavori, ma patrimonio di chiunque viva l’esperienza della cura quotidiana.
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