Secondo una ricerca delle università di Sydney e Oslo il cervello maschile perde volume più rapidamente, ma le donne restano più a rischio Alzheimer. Tra i motivi, fattori genetici, ormonali e stili di vita.
Oltre 12mila persone coinvolte
Un’ampia ricerca pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da ricercatori delle università di Sydney e Oslo è arrivata a mettere a confronto il tasso di atrofia cerebrale negli uomini e nelle donne in età adulta, cognitivamente sani. I dati sono in larga scala: sono stati analizzati più di 12.600 risonanze magnetiche (MRI) provenienti da 4.726 soggetti – ciascuno con almeno due scansioni – di età compresa tra 17 e 95 anni.
Il risultato principale è che, pur partendo da un volume cerebrale mediamente più elevato, gli uomini mostrano una perdita di volume e spessore corticale più marcata rispetto alle donne. In particolare la riduzione riguarda diverse regioni corticali come la corteccia para-hippocampale e numerose strutture subcorticali.
Le stime parlano di un’atrofia che può arrivare fino al 2 % all’anno negli uomini, sebbene questa cifra vari molto a seconda dell’età e delle regioni esaminate.
Lo studio evidenzia che, in realtà, la prevalenza più alta della Malattia di Alzheimer nelle donne – che è tra il 60 e il 70 % dei casi – non può essere spiegata semplicemente da un tasso di atrofia cerebrale più elevato nei soggetti di sesso femminile.
Perché si assottiglia il cervello maschile
La ragione per cui il cervello degli uomini sembra “invecchiare” — cioè ridursi in volume — più rapidamente non è ancora del tutto chiarita. Le ipotesi suggerite dallo studio riguardano più fattori: genetici, infiammatori, ormonali, oltre a possibili bias legati all’aspettativa di vita.
Tra gli elementi considerati: l’allele APOE ε4, noto fattore di rischio per l’Alzheimer, ha modalità di interazione che possono dipendere dal sesso. I cambiamenti ormonali (come il calo degli estrogeni in menopausa) possono rendere più vulnerabili alcune strutture cerebrali.
Interessante anche la correzione per l’aspettativa di vita: quando lo studio ha tenuto conto della durata media della vita dei soggetti (più elevata per le donne) alcune differenze si attenuavano o si modificavano, il che suggerisce che il “tempo di esposizione” all’invecchiamento cerebrale può influire. In sostanza, anche se l’atrofia cerebrale è più rapida negli uomini, questo non si traduce automaticamente in un maggiore rischio Alzheimer: ciò significa che non bastano il volume cerebrale e la sua perdita per spiegare tutti i meccanismi di vulnerabilità. Le donne, pur in presenza di un rallentamento dell’atrofia, mostrano all’incirca il doppio del rischio di Alzheimer rispetto agli uomini.
Questo “paradosso” pone domande più complesse sul perché la malattia colpisca con maggiore frequenza il sesso femminile.
Implicazioni per l’invecchiamento cerebrale
Il risultato ha numerose implicazioni per la ricerca e la salute pubblica. In primo luogo evidenzia che l’invecchiamento cerebrale è un processo eterogeneo e che il sesso è una variabile rilevante ma non esclusiva. Secondariamente, il fatto che l’atrofia non sia direttamente correlata a un maggior rischio Alzheimer nelle donne spinge a guardare oltre: verso la genetica, le variazioni infiammatorie, la salute vascolare, lo stile di vita e altri fattori che possono rendere più vulnerabili alcune popolazioni.
Terzo: per gli uomini, una perdita di volume cerebrale più rapida significa che la prevenzione cognitiva, fatta con esercizio fisico, mentale, controllo dei fattori cardiovascolari, può essere particolarmente importante. Sebbene non vi sia ancora un “programma uomini vs donne” distinto, la consapevolezza della differente traiettoria aiuta a personalizzare l’approccio.
Infine, la ricerca sottolinea che misurare solo il volume cerebrale non è sufficiente. Servono strumenti che valutino la connessione tra le reti cerebrali, il flusso vascolare, la microinfiammazione e la riserva cognitiva residua.
Limiti e le prospettive della scoperta
È bene sottolineare che la coorte studiata comprende soggetti cognitivamente sani e con alto livello di istruzione. Ciò può introdurre una “inclinazione” (un bias) di selezione: le persone più istruite tendono ad avere una migliore “riserva cognitiva” e magari invecchiano in modo cerebrale più favorevole. Lo studio stesso puntualizza che la generalizzazione ai gruppi più vulnerabili va fatta con cautela.
Come in tutti gli studi di neuroimaging, il nesso di causalità resta comunque difficile da stabilire. Un volume cerebrale più ridotto può essere conseguenza o causa di processi patologici, oppure entrambi. I ricercatori ammettono che non è chiaro se le differenze osservate riflettano una vera e propria differenza nel “velocizzare” dell’invecchiamento biologico o solo un’esposizione a fattori ambientali o genetici.
Le prossime tappe includono l’analisi di campioni ancora più diversificati per etnia, livello socio-economico e salute vascolare, nonché l’integrazione di marker infiammatori e genetici. Ciò permetterà di chiarire fino a che punto il sesso determina la traiettoria di invecchiamento cerebrale e come questo si traduca in rischio clinico reale.
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