A Palazzo d’Accursio un’esposizione racconta l’evoluzione del personaggio creato da Paolo Villaggio attraverso locandine originali, fotografie di scena e cimeli cinematografici.
In mostra un’icona tutta italiana
Sono passati cinquant’anni da quando il ragionier Ugo Fantozzi ha fatto la sua prima apparizione letteraria, e Bologna ha scelto di celebrare questo anniversario con un’iniziativa che va ben oltre la semplice commemorazione. Negli spazi di Palazzo d’Accursio, sede del Municipio, è stata allestita “Fantozzi!!!”, un’esposizione che si propone di esplorare l’universo del personaggio più tragicomico della cultura italiana. La mostra, a ingresso gratuito, rimarrà visitabile fino al 9 novembre e rappresenta un’occasione per riscoprire come una figura nata dalla penna di Paolo Villaggio sia riuscita a diventare parte integrante dell’immaginario collettivo nazionale.
L’allestimento occupa le sale espositive del palazzo comunale e propone un percorso articolato che documenta la trasformazione di Fantozzi da personaggio letterario a fenomeno cinematografico. Tra i materiali esposti spiccano le locandine originali dei film che hanno segnato la saga, fotografie di scena che catturano momenti iconici delle pellicole, e una raccolta di memorabilia che include edizioni storiche dei libri e oggetti legati alle produzioni cinematografiche. Non mancano le proiezioni che permettono ai visitatori di rivivere alcune delle scene più celebri, quelle entrate nel linguaggio comune e diventate riferimenti culturali trasversali.
L’ingresso libero testimonia la volontà di rendere accessibile a tutti un patrimonio che appartiene alla memoria condivisa degli italiani.
Il ragioniere che ha raccontato l’Italia del dopoguerra
Fantozzi non è semplicemente un personaggio comico, ma uno specchio deformante attraverso cui Paolo Villaggio ha raccontato le contraddizioni dell’Italia del boom economico e degli anni successivi.
Nato nel 1968 come protagonista di una raccolta di racconti pubblicata da Rizzoli, il ragioniere vessato, umiliato e perennemente perdente ha incarnato le frustrazioni di una classe media in ascesa ma sempre schiacciata dalle gerarchie aziendali e sociali. Villaggio aveva attinto alla propria esperienza di impiegato alla Italsider di Genova per costruire un personaggio che fosse insieme grottesco e terribilmente reale.
La forza di Fantozzi risiede nella sua capacità di rappresentare l’individuo annullato dal sistema. Quello che subisce senza mai ribellarsi davvero, che sopporta le angherie del megadirettore galattico e le umiliazioni della contessa Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare con una rassegnazione che fa ridere e commuovere allo stesso tempo. Il ragioniere diventa così l’archetipo del sottoposto, di chi vive in bilico tra il desiderio di riscatto e la consapevolezza della propria impotenza. Attraverso le sue disavventure tragicomiche, Villaggio ha costruito una satira feroce del conformismo aziendale, della burocrazia soffocante, delle dinamiche di potere che regolano i rapporti di lavoro.
Un successo fatto di scene memorabili
Il successo cinematografico, iniziato nel 1975 con il primo film diretto da Luciano Salce, ha amplificato la portata del personaggio trasformandolo in un fenomeno di massa. Le scene del cineforum con la visione forzata de “La corazzata Potëmkin”, le partite di calcio nel fango, i tentativi maldestri di conquistare la signorina Silvani sono diventate parte del patrimonio culturale italiano. Villaggio ha saputo creare un linguaggio visivo e verbale riconoscibilissimo, fatto di neologismi inventati, situazioni surreali e una comicità fisica che attingeva alla grande tradizione del cinema muto. Il ragioniere con il suo cappotto grigio, la ventiquattrore consunta e l’espressione perennemente sconfitta è diventato un simbolo riconoscibile anche al di fuori dei confini nazionali.
Ma Fantozzi ha anche saputo evolversi nel tempo, seguendo i cambiamenti della società italiana. Dai racconti degli anni Sessanta ai film degli anni Settanta e Ottanta, fino agli ultimi episodi degli anni Novanta, il personaggio ha attraversato diverse stagioni mantenendo intatta la propria carica satirica. Ha raccontato il passaggio dalla prima Repubblica alla seconda, l’avvento della società dei consumi, le trasformazioni del mondo del lavoro. Anche quando la saga cinematografica è diventata più ripetitiva, perdendo parte della freschezza originaria, Fantozzi è rimasto un punto di riferimento per intere generazioni di italiani che hanno ritrovato nelle sue sventure qualcosa di profondamente familiare.
Un patrimonio culturale da preservare
Negli ultimi anni si è assistito a un rinnovato interesse critico verso autori e interpreti che per decenni erano stati considerati semplicemente intrattenitori di massa. Il lavoro di Paolo Villaggio, in particolare, ha beneficiato di questa nuova attenzione che ne ha evidenziato la complessità e la profondità oltre la superficie comica. La mostra bolognese contribuisce a questo processo di riconoscimento offrendo una documentazione sistematica di un fenomeno che ha segnato la cultura popolare italiana per quasi tre decenni.
L’esposizione si rivolge tanto agli appassionati che hanno vissuto in diretta l’epoca d’oro di Fantozzi quanto alle nuove generazioni che scoprono il personaggio attraverso le repliche televisive e le piattaforme digitali. La possibilità di vedere dal vivo i materiali originali, di confrontarsi con i documenti che testimoniano il processo creativo dietro i film, aggiunge una dimensione fisica a un patrimonio che rischia di essere percepito solo in forma digitale e smaterializzata. Gli organizzatori hanno puntato su un allestimento che privilegia l’immediatezza e la riconoscibilità, consapevoli che Fantozzi parla un linguaggio comprensibile anche a chi non ha particolare dimestichezza con la storia del cinema.
L’immaginario che diventa realtà
La mostra di Palazzo d’Accursio dimostra come un personaggio di fantasia possa sedimentarsi nella coscienza collettiva fino a diventare un riferimento concreto. L’espressione “fantozziano” è entrata stabilmente nel vocabolario italiano per descrivere situazioni assurde, frustranti, caratterizzate da una comicità involontaria che nasce dall’accumulo di contrattempi. Villaggio aveva creato un universo narrativo talmente coerente e riconoscibile da renderlo autonomo rispetto alla finzione cinematografica.
I visitatori della mostra possono verificare come quel mondo immaginario abbia lasciato tracce tangibili: dalle locandine che tappezzavano i cinema negli anni Settanta agli oggetti di scena che hanno contribuito a costruire l’identità visiva del personaggio. L’esposizione testimonia anche il passaggio generazionale di un’eredità culturale che continua a essere trasmessa e reinterpretata, confermando la vitalità di una creazione artistica che ha superato la prova del tempo senza perdere la propria capacità di parlare al presente.
Credit foto: EARTH Foundation
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