Il Parlamento di Atene prepara il voto finale su una misura che spacca sindacati, opposizione e governo conservatore
La Grecia si avvia verso la giornata di 13 ore. È attesa per oggi l’approvazione definitiva della legge sulla riforma lavorativa dopo il lungo dibattito di ieri in Parlamento. In realtà uno scontro, dopo due scioperi generali, che tocca nervi scoperti della società greca: dignità del lavoro, tutele sindacali e qualità della vita. Al centro della contesa, una proposta di legge che autorizza turni lavorativi fino a tredici ore consecutive per i dipendenti del settore privato. Una misura che il governo conservatore di Nea Dimokratia presenta come strumento di flessibilità, ma che sindacati e forze di opposizione bollano come pericolosa deriva verso forme di sfruttamento inaccettabili. Parlando, senza mezzi termini, di schiavitù retribuita.
Le caratteristiche della riforma del lavoro
La proposta della ministra del lavoro Niki Kerameos delinea un meccanismo del tutto innovativo. I lavoratori del privato, infatti, potranno prestare servizio presso lo stesso datore per tredici ore nell’arco di una giornata, superando le classiche otto ore dei contratti standard. La riforma del lavoro fissa un tetto di trentasette giorni all’anno, su base volontaria. Per compensare l’impegno aggiuntivo, è prevista una maggiorazione retributiva del quaranta per cento. Il governo sottolinea come si tratti di un’evoluzione normativa. Due anni fa era stata approvata una legge che già permetteva giornate da tredici ore, ma distribuite tra due diversi datori di lavoro. La nuova norma consente di concentrare tutto l’orario presso un unico imprenditore, evitando gli spostamenti tra diverse sedi.
La mobilitazione dei sindacati
La Confederazione generale dei lavoratori greci (Gsee) ha orchestrato due scioperi generali nel mese, l’ultimo di martedì. Migliaia di lavoratori hanno invaso le strade delle principali città, sventolando striscioni che denunciavano il rischio di un ritorno al Medioevo dei diritti. Per la Gsee, questa riforma del lavoro minaccia salute e sicurezza dei dipendenti, polverizzando l’equilibrio tra vita personale e professionale. In una lettera ufficiale alla ministra Kerameos, il sindacato ha espresso preoccupazioni profonde sulle tutele lavorative. Il punto dolente riguarda l’applicazione pratica. Lo squilibrio nei rapporti di forza tra datore e dipendente rischia di trasformare la “volontarietà” in una parola vuota. Molti lavoratori, stretti dalla necessità economica, potrebbero trovarsi costretti ad accettare turni massacranti pur di mantenere il posto.
Lo scontro politico e le posizioni dell’opposizione
Il fronte parlamentare si presenta compatto contro la maggioranza. Nikos Androulakis, leader del Pasok, accusa Nea Dimokratia di smantellare sistematicamente le conquiste dei lavoratori. Sokratis Famellos di Syriza dipinge una Grecia popolata da impiegati poveri, costretti a lavorare più della media europea ma con salari insufficienti. Le statistiche lo confermano: il potere d’acquisto greco è il penultimo nell’Unione Europea, superiore solo a quello bulgaro. I dati Eurostat certificano 39,8 ore settimanali lavorate in media, contro le 36 ore continentali. Il dibattitto di ieri si è intrecciato con altre tensioni politiche, dalle dispute sul bilancio alle inchieste sull’agenzia per i pagamenti agricoli.
Le ragioni del governo: flessibilità o necessità?
La maggioranza a favore sostiene che una fetta di lavoratori chiede esplicitamente di aumentare il proprio orario per incrementare il reddito. A fronte delle garanzie di tutela verso chi non vorrà aderire agli straordinari. La riforma del lavoro non intaccherebbe la giornata standard, e il regime delle tredici ore interesserebbe mediamente tre giorni al mese. Del resto, secondo il Governo, molti lavoratori greci già oggi si dividono tra più impieghi nella stessa giornata, correndo da un capo all’altro della città senza benefici economici. La nuova normativa permetterebbe di concentrare lo sforzo presso un unico datore, eliminando stress e costi degli spostamenti, con una maggiorazione del quaranta per cento. Un vantaggio concreto che trasforma in diritto quello che già avviene nella realtà.
Un Paese che lavora tanto ma guadagna poco
Il nodo centrale del dibattito rimanda a una questione più ampia che attraversa la società greca. Nonostante gli indicatori macroeconomici mostrino segnali di ripresa, con crescita economica e diminuzione della disoccupazione, la vita quotidiana dei cittadini racconta una storia diversa. Gli stipendi restano inadeguati rispetto al costo della vita, costringendo molti a destreggiarsi tra diversi impieghi per sbarcare il lunario. Il lavoro non manca, ma la qualità di quel lavoro lascia a desiderare. Questa contraddizione alimenta lo scontro sulla riforma del lavoro. Da una parte c’è chi vede nella flessibilità uno strumento per adattarsi a un mercato in evoluzione, dall’altra chi teme che questa flessibilità si traduca in precarietà mascherata. Il rischio è che la normativa, pensata teoricamente per offrire opportunità, diventi nella pratica un modo per normalizzare orari insostenibili, sacrificando salute e vita privata sull’altare della produttività.
La legge sulle 13 ore riapre le ferite della crisi del 2011
La memoria della crisi del debito del 2011 rimane ancora viva nella società greca. Quella drammatica stagione aveva già imposto ai lavoratori sacrifici enormi, con tagli salariali e smantellamento di tutele storiche in nome del risanamento dei conti pubblici. Ora, a distanza di anni e con un’economia formalmente in ripresa, molti cittadini vedono in questa nuova proposta l’ennesimo attacco ai diritti conquistati con fatica. Con la maggioranza parlamentare che sostiene la proposta, l’approvazione finale appare scontata, ma le ferite aperte nel tessuto sociale potrebbero impiegare molto più tempo a rimarginarsi.
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