I frammenti infinitesimali di plastica sono il nuovo fattore di rischio per la salute scheletrica
Invisibili all’occhio nudo, presenti ormai in aria e nell’acqua, le microplastiche rappresentano una delle attuali sfide ambientali più insidiose. E mentre la comunità scientifica indaga da anni sui loro effetti dannosi per oceani ed ecosistemi, emerge ora un aspetto ancora più preoccupante che riguarda direttamente il corpo umano. Queste particelle invisibili, infatti, potrebbero compromettere la solidità dello ossa dello scheletro, contribuendo ad un aumento globale dei casi di osteoporosi. Lo proverebbe una meta analisi – pubblicata su Osteoporosis International – condotta dall’Università di Campinas in Brasile, che ha passato al setaccio oltre sessanta studi scientifici.
Un nemico microscopico
Secondo gli scienziati, le particelle plastiche che penetrano nell’organismo interferiscono con meccanismi biologici fondamentali, in particolare con il funzionamento delle cellule staminali presenti nel midollo osseo. Queste cellule rappresentano l’architrave del sistema scheletrico: mantengono e riparano costantemente il tessuto osseo, garantendone la resistenza nel corso degli anni. Il processo attraverso cui le ossa si rinnovano è straordinariamente complesso. Giorno dopo giorno, l’ossatura del corpo umano demolisce strutture vecchie e ne costruisce di nuove, in un equilibrio delicato che può durare tutta la vita. Quando questo equilibrio si rompe, emerge l’osteoporosi: la velocità con cui l’osso viene riassorbito supera quella di rigenerazione, portando a una progressiva fragilità. La conseguenza sono ossa che si spezzano più facilmente, una condizione che spesso rimane silenziosa fino alla prima grave frattura.
Il meccanismo nascosto dell’indebolimento osseo
Gli esperimenti di laboratorio analizzati hanno svelato il meccanismo che innesca la fragilità. Le microplastiche stimolano la produzione di osteoclasti, cellule specializzate che hanno il compito di demolire il tessuto osseo. Questo processo, normalmente bilanciato dalla formazione di nuovo osso, diventa eccessivo in presenza di contaminazione plastica. Il risultato è uno squilibrio pericoloso: si distrugge più struttura ossea di quanta ne venga ricreata. Ma non è tutto. Gli studi hanno evidenziato che questi frammenti plastici riducono la vitalità delle cellule ossee, accelerano l’invecchiamento cellulare, modificano l’espressione dei geni e scatenano reazioni infiammatorie. Un cocktail di effetti negativi che, sommati, minano progressivamente la solidità dello scheletro.
Dalle provette agli organismi viventi
Gli studi successivamente condotti sugli animali hanno confermato i primi risultati: l’accumulo di microplastiche riduce il numero di globuli bianchi, segnalando alterazioni nel funzionamento del midollo osseo. Ancora più significativamente, questi esperimenti hanno mostrato un deterioramento della microstruttura ossea e la formazione di architetture cellulari anomale, con conseguente aumento del rischio di fragilità, deformità e fratture. Rodrigo Bueno de Oliveira, uno dei principali ricercatori, sottolinea la serietà della situazione: “Gli effetti avversi osservati culminano, in modo preoccupante, nell’interruzione della crescita scheletrica degli animali”. De Oliveira sta ora avviando nuovi studi per dimostrare concretamente la relazione tra esposizione alle particelle plastiche e danno osseo, partendo dall’analisi dei femori dei roditori.
Un fattore di rischio emergente
L’osteoporosi ha tradizionalmente fattori di rischio ben noti: età, sesso, uso di determinati farmaci, alimentazione inadeguata, fumo, consumo di alcol e predisposizione genetica. Oggi si aggiunge un elemento inatteso alla lista: l’esposizione alle microplastiche. Come spiega Oliveira, “sebbene le malattie osteometaboliche siano relativamente ben comprese, esiste una lacuna nelle nostre conoscenze riguardo all’influenza delle microplastiche. Il nostro obiettivo è generare prove che suggeriscano come questi frammenti potrebbero rappresentare una causa ambientale controllabile per spiegare l’aumento previsto di fratture ossee”.
Lo scheletro al centro della longevità
Recentemente la salute scheletrica ha acquisito un ruolo cruciale nella comprensione della longevità umana. Tuttavia, gli effetti dei nuovi fattori di rischio legati alla vita contemporanea rimangono ancora poco documentati. La presenza di microplastiche nel tessuto osseo umano, confermata dai rilevamenti recenti, rende la questione ancora più urgente. Gli studi in vitro hanno dimostrato che questi contaminanti alterano la differenziazione cellulare, aumentano la produzione di sostanze ossidanti, compromettono il potenziale delle cellule stromali mesenchimali del midollo osseo. Gli esperimenti su animali hanno rivelato che l’ingestione di particelle plastiche modifica il microbiota intestinale e riduce la funzionalità del midollo osseo, con accumuli rilevabili nel tessuto scheletrico che ne ostacolano la crescita e compromettono la microarchitettura trabecolare.
Cosa sono davvero le microplastiche
Micro e nanoplastiche sono frammenti microscopici che si staccano dagli oggetti in plastica quando si degradano per effetto di luce solare, vento, pioggia, acqua marina o semplice usura. Le microplastiche misurano da un micrometro (un millesimo di millimetro) fino a cinque millimetri, mentre le nanoplastiche sono ancora più piccole. Entrambe sono state rintracciate ovunque: negli oceani come nei tessuti umani, nel cibo, nell’acqua, nei prodotti agricoli. Il problema ha dimensioni planetarie. Ogni anno vengono prodotte oltre cinquecento milioni di tonnellate di plastica a livello globale, ma solamente il 9% viene riciclato. Il resto si disperde nell’ambiente, frammentandosi progressivamente in particelle sempre più piccole che entrano nella catena alimentare e, inevitabilmente, negli organismi.
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