Dal Madagascar al Perù, una generazione connessa rivendica diritti e dignità nelle piazze digitali e reali
Da Antananarivo a Lima, passando per Rabat e Marrakech, migliaia di giovani stanno scuotendo le coscienze dei loro paesi. Le proteste della Gen Z rappresentano oggi uno dei fenomeni sociali più significativi a livello mondiale, capaci di mettere in crisi governi e costringere i leader politici a confrontarsi con una nuova generazione che non accetta più compromessi. Dopo aver infiammato Kenya, Nepal, Indonesia e Filippine nelle scorse settimane, l’ondata di manifestazioni si è estesa al Madagascar, al Marocco e al Perù, disegnando una mappa della protesta che attraversa tre continenti.
Madagascar: quando l’acqua diventa una rivoluzione
Le strade di Antananarivo raccontano la storia di un paese arrivato al punto di rottura. Le ripetute interruzioni di acqua ed elettricità hanno innescato una serie di manifestazioni giovanili che hanno costretto il presidente Andry Rajoelina a sciogliere il governo. Una decisione drastica, arrivata dopo che la repressione delle proteste aveva causato ventdue vittime, scatenando la condanna delle Nazioni Unite. Ma questa concessione non ha placato la rabbia dei manifestanti. Il coprifuoco rimane in vigore nella capitale e i giovani organizzatori, coordinati attraverso i social media, hanno già annunciato nuove mobilitazioni. I ragazzi malgasci si sono ispirati alle proteste della Gen Z in Kenya, Nepal e Perù, trasformando la propria frustrazione in azione collettiva. Quello che colpisce è la rapidità con cui la protesta si è organizzata e la determinazione nel proseguire nonostante le violenze subite. Non si tratta più di semplici manifestazioni spontanee, ma di movimenti strutturati che utilizzano gli strumenti digitali per coordinarsi e diffondere le proprie rivendicazioni.
Marocco: GenZ contro le diseguaglianze
In Marocco, la situazione si presenta altrettanto complessa. Il movimento GenZ212 ha portato in piazza migliaia di giovani in almeno undici città, tra cui Casablanca, Rabat, Marrakech e Agadir, con le autorità che hanno risposto arrestando quasi duecento persone. Ma nemmeno la repressione ferma questa generazione. I ragazzi marocchini chiedono investimenti nella sanità pubblica e nel sistema educativo, due settori che percepiscono come completamente abbandonati dalle istituzioni. Dietro queste richieste si nasconde una frustrazione più profonda: la mancanza di opportunità in un paese dove il divario tra ricchi e poveri continua ad allargarsi. La monarchia, pur non essendo messa direttamente in discussione, ha riconosciuto l’urgenza di affrontare questo nodo strutturale. Il premier Akhannouch e la sua coalizione di centrodestra si trovano ora sotto pressione, chiamati a dare risposte concrete a una generazione che non accetta più promesse vuote.
Perù: la riforma delle pensioni che ha fatto esplodere Lima
Il Sudamerica non è immune da questa ondata di proteste. A Lima, la capitale peruviana, i giovani sono scesi in piazza per quattro notti consecutive contro una riforma delle pensioni che li obbliga, appena maggiorenni, ad aderire a un fondo pensionistico. La quarta marcia si è conclusa con tensioni e scontri, mostrando quanto sia alta la temperatura sociale nel paese. I manifestanti non contestano solo una legge specifica, ma esprimono un malessere più ampio legato alla corruzione e alla mancanza di prospettive future. Anche il Paraguay ha visto mobilitazioni simili. Ad Asunción, ventotto giovani erano stati arrestati durante una manifestazione contro la corruzione dilagante, ma la giustizia ha successivamente disposto la loro liberazione, riconoscendo implicitamente il diritto dei ragazzi a esprimere il proprio dissenso. Sono segnali che indicano come le istituzioni stiano iniziando a comprendere l’impossibilità di ignorare questa generazione.
Un simbolo che unisce: la bandiera di One Piece
Uno degli aspetti più affascinanti di queste proteste della Gen Z è l’adozione di un simbolo comune che attraversa oceani e culture. La bandiera del Jolly Roger con il cappello di paglia, tratta dal manga giapponese One Piece, è diventata un emblema di sfida e speranza per i manifestanti in tutta l’Asia e oltre. Avvistata per la prima volta nelle strade di Giacarta, questa immagine ha poi fatto la sua comparsa in Nepal, Filippine e recentemente anche in Perù. Il teschio sorridente con due ossa incrociate e il cappello di paglia rappresenta oggi le proteste che hanno preso il sopravvento nei paesi del sud-est asiatico e non solo. Non si tratta di una scelta casuale. One Piece racconta la storia di un gruppo di pirati che lottano per la libertà contro governi corrotti e sistemi oppressivi, un parallelismo che i giovani manifestanti sentono profondamente vicino alla propria esperienza. La cultura pop diventa così veicolo di messaggi politici, dimostrando come questa generazione sappia mescolare linguaggi diversi per costruire la propria identità di resistenza.
Una generazione che non accetta più lo status quo
Ciò che accomuna tutte queste manifestazioni, al di là delle migliaia di chilometri che separano Madagascar, Marocco e Perù, è una comune rivendicazione di dignità. I nati tra il 1997 e il 2012 si trovano ad affrontare economie fragili, sistemi politici percepiti come corrotti e un futuro che appare sempre più incerto. A differenza delle generazioni precedenti, però, questi ragazzi possiedono strumenti potenti per organizzarsi e far sentire la propria voce. I social media hanno trasformato il modo in cui le proteste vengono concepite e realizzate. Non servono più strutture partitiche o sindacali per mobilitare migliaia di persone. Bastano poche ore per organizzare una manifestazione, coordinate attraverso chat di gruppo e piattaforme digitali. Questa capacità di mobilitazione rapida mette in difficoltà i governi, che faticano a prevedere e gestire fenomeni che nascono e si sviluppano alla velocità della rete.
Richieste simili, contesti diversi
Nonostante le specificità locali, le rivendicazioni della Gen Z mostrano una sorprendente omogeneità. Fine della corruzione, migliori servizi pubblici, opportunità di lavoro e studio, diritti fondamentali garantiti. Sono temi che risuonano da un continente all’altro, dimostrando come questa generazione condivida una visione globale dei problemi. I giovani marocchini che chiedono investimenti nella sanità parlano lo stesso linguaggio dei coetanei malgasci che protestano per l’accesso all’acqua, o dei peruviani che rifiutano riforme pensionistiche considerate ingiuste. Questa convergenza tematica rende le proteste della Gen Z un fenomeno da osservare con attenzione. Non si tratta di episodi isolati destinati a spegnersi rapidamente, ma di un movimento che sembra acquisire forza e coerenza con il passare dei mesi. I governi che hanno tentato la strada della repressione hanno ottenuto risultati controproducenti, alimentando ulteriormente la rabbia dei manifestanti.
Il futuro delle proteste globali
Guardando alla diffusione geografica di queste mobilitazioni, appare chiaro che siamo di fronte a qualcosa di strutturale. La Gen Z sta ridefinendo il concetto stesso di attivismo politico, combinando azione fisica nelle piazze e coordinamento digitale, simboli della cultura pop e rivendicazioni concrete. Le ventdue vittime del Madagascar, i duecento arresti in Marocco, gli scontri a Lima non hanno fermato questa ondata. Al contrario, ogni episodio di violenza sembra rafforzare la determinazione dei giovani a proseguire la battaglia. Resta da vedere come i governi sapranno rispondere a questa sfida. Le dimissioni del governo malgascio rappresentano un precedente significativo, ma non bastano i cambiamenti formali. Serve un impegno concreto nell’affrontare le cause profonde del malcontento: la corruzione sistemica, le diseguaglianze economiche, la mancanza di prospettive per le nuove generazioni. Se le istituzioni non sapranno cogliere questo momento come opportunità di cambiamento, le proteste della Gen Z sono destinate a intensificarsi, coinvolgendo probabilmente altri paesi nei prossimi mesi.
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