La generazione silver dimostra un coinvolgimento professionale che i millennials hanno smarrito
In Italia sono i lavoratori più maturi a dimostrare il maggiore coinvolgimento professionale, mentre le generazioni più giovani mostrano segnali di distacco. Gli over 55, con il 37,5% di loro che si dichiara molto motivato, rappresentano il motore dell’engagement lavorativo nelle aziende. Un dato che assume ancora più rilevanza se confrontato con il 24,3% di interesse manifestato dagli under 45. Questi numeri emergono dall’indagine realizzata dal Censis per Philip Morris Italia, che ha analizzato il livello di engagement lavorativo dei lavoratori dipendenti, rivelando come la generazione d’argento mantenga un rapporto profondo e identitario con la propria professione.
La forza motivazionale degli over 55
L’engagement lavorativo cambia radicalmente in base all’età anagrafica. Gli over 55, cresciuti con l’idea che l’occupazione fosse un elemento identitario fondamentale, mantengono livelli elevati di motivazione che rappresentano un’eccezione nel panorama attuale. Per questa generazione, formatasi in un’epoca in cui il posto fisso rappresentava una conquista sociale e un marcatore di status, l’impegno professionale continua a costituire un pilastro della vita quotidiana. La loro motivazione si traduce in una maggiore consapevolezza delle dinamiche aziendali. Il 45,2% degli over 55 riconosce, infatti, come il disimpegno altrui abbia un impatto negativo sui risultati organizzativi. Una percentuale che distanzia di quasi venti punti i più giovani, fermi al 25,4% e che dimostra come i senior abbiano sviluppato una comprensione profonda del proprio ruolo nel sistema produttivo.
Il gap generazionale nella percezione delle competenze
Un altro elemento che distingue i senior dalle generazioni più giovani riguarda l’allineamento tra competenze possedute e richieste professionali. Mentre il 16,8% dei 18-34enni segnala una forte discrepanza tra le proprie capacità e quanto richiesto dal ruolo, tra gli over 55 questa percentuale crolla al 6,3%. Un dato che potrebbe riflettere sia una maggiore esperienza accumulata nel tempo, sia una diversa capacità di adattamento alle richieste organizzative. Nella fascia tra i 18 e i 44 anni, appena il 24,3% manifesta un forte interesse verso la propria occupazione. Si tratta di un calo verticale che non può essere liquidato come semplice disaffezione giovanile, ma riflette un cambiamento culturale profondo. «Solo il 10% dei lavoratori italiani si dichiara davvero coinvolto nel proprio lavoro e quasi la metà sperimenta una distanza emotiva dalla propria attività», osserva Pasquale Frega, presidente di Philip Morris Italia. «Questo significa che per molti il lavoro non è fonte di motivazione. È una sfida».
Il lavoro come valore identitario per i senior
La ricerca mette in evidenza il rapporto tra lavoro e identità personale. Per i senior, l’attività professionale non è solo un mezzo di guadagno, ma costituisce parte integrante della propria identità sociale. Questa concezione, radicata in decenni di cultura del lavoro italiana, spiega perché due over 55 su tre continuino a considerare la professione come elemento centrale della propria esistenza. Si tratta di una visione che affonda le radici in un contesto storico e sociale specifico, quello di una generazione che ha vissuto la stabilità occupazionale come norma e ha costruito reti sociali e personali attorno al proprio ruolo professionale. Per questi lavoratori, l’ufficio o il luogo di lavoro non rappresentano solo uno spazio fisico dove svolgere mansioni, ma un ambiente in cui si definisce parte della propria personalità e del proprio posto nella società.
I più distaccati? I giovani
Anche nella percezione del valore del lavoro, i senior dimostrano una forte solidità. Il 66,3% degli over 55 continua ad ancorare la propria esistenza al modello tradizionale in cui l’attività professionale occupa una posizione centrale. Un approccio in contrasto con il 54,1% dei 18-44enni che invece affermano che il lavoro ha perso rilevanza o non è mai stato prioritario. Questa differenza non rappresenta solo un dato generazionale, ma fotografa due visioni del mondo profondamente diverse. La stabilità emotiva dei lavoratori più maturi emerge anche dall’analisi del coinvolgimento quotidiano: solo il 34,4% degli over 55 sperimenta sensazioni di distacco durante le attività lavorative. Contro oltre la metà dei giovani che avverte regolarmente questo problema.
Il costo del disimpegno
Le conseguenze di questo scarso engagement lavorativo non sono solo individuali ma si riflettono sulle organizzazioni. Il 44,3% dei lavoratori ha valutato seriamente l’ipotesi di cambiare occupazione, percentuale che schizza al 64,6% tra i più giovani. Le motivazioni che spingono a considerare un cambio professionale sono eloquenti. Al primo posto figura l’aumento del reddito, indicato dal 39,5% degli intervistati, seguito dallo stress o dal carico eccessivo di lavoro e dalla ricerca di maggiore soddisfazione professionale. Un lavoratore su tre ritiene che il disimpegno abbia un impatto rilevante sui risultati aziendali, riducendo in modo evidente la produttività complessiva. Questa consapevolezza risulta particolarmente diffusa tra gli over 55, con il 45,2% che ne riconosce gli effetti negativi, mentre tra i giovani la percentuale scende al 25,4%, segnalando forse una minore preoccupazione per le dinamiche organizzative.
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