Ferdinando Liburdi, per tutti Nando, racconta uno degli avvenimenti più simbolici e tragici della Seconda guerra mondiale che ha portato all’eccidio delle Fosse Ardeatine. Un tempo di pochi minuti avrebbe cambiato per sempre il suo destino. Ecco la sua storia
«Quel boato è rimasto dentro me e risuona ancora forte nelle mie orecchie, nella mia testa. Ancora oggi, quando sento un rumore forte, la mia mente torna lì a quel 23 marzo 1944. Sono passati oltre ottant’anni ma io quel giorno non lo dimenticherò mai. All’epoca avevo sei anni, abitavo con i miei genitori in via degli Avignonesi a Roma, una strada parallela a via del Tritone e via Rasella. Quel giorno, avevamo da poco finito di pranzare, mia mamma ed io siamo usciti di casa per andare a far visita a mia zia, lei abitava in piazza Vittorio, non molto lontano da noi, ma i mezzi pubblici non erano molto frequenti e l’unica alternativa era andare a piedi. Così ci siamo incamminati lungo via Boccaccio e, dopo via Rasella, siamo arrivati in via Nazionale: è stato lì, in quel momento, che abbiamo sentito un boato fortissimo. Però quelli erano gli anni della guerra, delle bombe e delle sventagliate di mitragliatrici. Lo abbiamo sentito il boato, sì, ma non ci abbiamo fatto caso più di tanto. Quando siamo arrivati da mia zia, ho giocato con i giochi che mia madre portava per me, mangiando i dolci preparati proprio per la nostra visita. Ricordo ancora il sapore buonissimo del ciambellone. Dopo qualche ora, prima che calasse il buio, ci siamo avviati di nuovo a piedi verso casa e quando siamo arrivati nei pressi di via Nazionale abbiamo visto un trambusto che normalmente non c’era. E più ci avvicinavamo in via Rasella e più notavamo un viavai di militari e camionette. In via degli Avignonesi i militari tedeschi ci hanno bloccato. Mia madre, che non parlava il tedesco, è riuscita a farsi capire e a spiegare che avremmo dovuto passare per forza da lì e così ci hanno lasciato andare, accompagnandoci, forse perché non si fidavano del tutto. Quando abbiamo aperto la porta di casa abbiamo trovato mio padre disperato, era convinto che fossimo rimasti vittime di quanto accaduto perché aveva sentito il boato. Si era precipitato alla finestra per capire cosa fosse successo e cercarci, ma una sventagliata di mitra sparata dai soldati tedeschi lo ricacciò dentro. I militari impedivano a chiunque di uscire o entrare nella via, così lui è rimasto all’oscuro di tutto per circa tre ore. Solo il giorno dopo abbiamo saputo quello che era successo. Intanto i tedeschi cercavano i responsabili dell’attentato e il clima era tesissimo. Ho ancora i brividi se ripenso che, se io e mia madre fossimo passati su via Rasella dieci minuti più tardi, avremmo avuto un destino diverso. La guerra è bruttissima da qualunque parte la si guardi».
© Riproduzione riservata