Ho invitato spesso, me stessa e tutte le mie coetanee, a godere fino agli ultimi raggi di sole, queste nostre vite al tramonto ma sempre più lunghe. Mi è capitato di iniettare personalmente dosi elevate di fiducia nella possibilità di essere felici, nonostante la dimensione modesta degli anni di futuro che ancora ci spettano. Nonostante la lunghezza quasi imbarazzante del passato che si stende dietro di noi: tutte quelle parole, tutte quelle emozioni, tutte quelle scoperte, tutte quelle delusioni… Ho detto: “la vecchiaia è una parte della vita, non è un buco nero, una galera, una malattia. È roba nostra, ciascuna ha la sua”. Ho detto: “la qualità del terzo tempo delle nostre lunghe vite dipende da noi, da come lo affrontiamo, se con serena consapevolezza o con furtivi aggiustamenti estetici, paura e bugie”. No, non ho intenzione di abiurare. Sono convinta di tutto quello che ho detto e scritto da quando ho incominciato a temere la vecchiaia (intorno ai 12 anni). Sono vigorosamente ottimista sulla crescita esponenziale della longevità e ben decisa a liberare me stessa e tutte le donne nella mia stessa condizione (over 65 in una società che glorifica la giovinezza) dagli stereotipi che ci deprimono e ci tolgono la voglia di viverla, questa vita lunga.
Il tema, fra tutti quelli su cui sono stata interrogata nel corso del “Book Tour” seguito alla pubblicazione di Age Pride (è durato più di un anno, ha toccato tante città), su cui sono stata più vaga è l’amore. Diciamolo meglio: la possibilità di continuare a scambiare amore e sesso dopo la fatidica data d’ingresso nella vituperata “Terza età”.
Quando non si è più giovani né maturi, si può continuare ad essere amati? Più brutale ed esplicito: quando non si è più belle/belli è possibile sentirsi ancora desiderate, desiderati, o la festa è finita e si può soltanto garantirsi vicendevole sostegno e cura, più solidarietà? E rispetto reciproco “Finché morte non ci separi”, come recita la formula del matrimonio?
Sono stata vaga perché io stessa non so rispondere. O meglio: so rispondere ma non sono certa di essere sincera.
Si tratta di discutere del desiderio, terreno scivoloso. Parlo per le donne e parlo partendo da me, così non corro il rischio di sbagliare troppo. Io, come le donne della mia età, non mi sento più desiderata, non corrispondo al modello che fa – per il comune sentire – accendere la scintilla dell’attrazione. Questa percezione (nitida, malinconica) mi impedisce di desiderare, a mia volta, il corpo dell’altro. Di un altro, o di un’altra.
Con l’anima me la cavo meglio, me la cavo alla grande con tutto quello che è incorporeo. Intreccio, infatti, magnifiche conversazioni con uomini che mi piacciono, ma non mi viene nemmeno in mente di sfiorare loro un gomito. È una delle tante discriminazioni che rendono dura la vita delle donne? Siamo così abituate a perseguire l’obbiettivo di incarnare il desiderio dei maschi che non sappiamo desiderare in proprio?
Ho posto queste domande a una conoscente (per ora, potremmo anche diventare amiche) che, all’età di settantuno anni, vedova da cinque, si è – parole sue – “fidanzata” con un coetaneo.
Sembra felice.
Le ho confessato che la invidio un po’ perché ha confutato, con il suo eros durevole, le mie teorie deprimenti, aprendo alla speranza le moltissime donne single e stufe di essere single.
Mi ha risposto con una franca risata: non è tutto oro quello che luccica, mi ha detto. Poi ha spiegato: quando ha incontrato il suo lui ad una cena si è sentita al settimo cielo. Lui le ha fatto subito dei complimenti squisiti. Non ne riceveva da un quarto di secolo, si è sentita rassicurata sulla sua avvenenza (è una bella donna, ma le rughe non le ha cancellate), poi lui l’ha accompagnata a casa. La mattina dopo le ha dato il buon giorno con un messaggino. Si sono rivisti un paio di volte, hanno affrontato, dopo un mese, la prova del sesso: ridendo. Lei gli ha fatto vedere le foto di quando era ragazza, in topless, con un seno perfetto. Lui le ha detto: «Ti preferisco adesso».
La frase giusta.
In capo a tre mesi hanno deciso di sposarsi, vedova lei. Divorziato lui.
Tutto bene, allora, no?
No, ha risposto lei, la situazione è precipitata quando hanno annunciato la lieta novella in famiglia. I figli non hanno gradito. Né il trentasettenne figlio di lei, né la ventiquattrenne figlia di lui.
Le accuse andavano dal “Non essere ridicola”, rivolta a lei dalla nuora, al “Camperà più di te, secondo le statistiche, e si mangerà tutti i tuoi soldi”, rivolta a lui dalla figlia.
È vero, quando si ha, dietro le spalle, molta vita, è difficile “ri-accoppiarsi”, c’è sempre qualcuno che protesta, che avanza diritti, che ritiene illegittima la tua voglia di provarci ancora, di investire ancora sull’amore, anche se si è sempre più lontani dalle età canoniche, l’adolescenza, la giovinezza.
La mia conoscente, poi, non si è sposata. Con lui ogni tanto si vedono.
Ma non fanno più l’amore.
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