La scoperta di una rarissima “Croce di Einstein” con un’immagine centrale inaspettata rivoluziona la comprensione della distribuzione della materia oscura nell’universo. I ricercatori della Rutgers University hanno documentato un fenomeno mai osservato prima.
La “croce nel cosmo” che riscrive le regole gravitazionali
L’universo continua a stupire gli astronomi con spettacoli che sembrano sfidare ogni previsione. Nel sistema HerS-3, un gruppo di ricercatori della Rutgers University ha immortalato qualcosa di straordinario: una Croce di Einstein completa con una quinta immagine al centro, un fenomeno che teoricamente non dovrebbe esistere. La scoperta, pubblicata su Nature Astronomy, rappresenta un punto di svolta nello studio della materia oscura.
“That’s not supposed to happen,” (“Questo non dovrebbe accadere”) ha commentato Charles Keeton, astrofisico teorico dell’università americana, quando il team si è trovato di fronte a questa anomalia cosmica. Le Croci di Einstein si formano quando la luce di una galassia distante viene piegata dalla gravità di oggetti massicci in primo piano, creando tipicamente quattro immagini disposte a croce. Ma HerS-3 ha mostrato qualcosa di inedito: una quinta immagine luminosa proprio al centro della formazione.
Il sistema osservato si trova a una distanza di circa 11 miliardi di anni luce dalla Terra. La galassia sorgente, ricca di polveri e stelle in formazione, ha un redshift (“spostamento verso il rosso”) di 3.06, il che significa che la sua luce ha viaggiato per gran parte della storia dell’universo prima di raggiungerci. Quattro galassie in primo piano, situate a circa 6 miliardi di anni luce, agiscono come lenti gravitazionali naturali, deformando lo spazio-tempo circostante.
Il fenomeno delle lenti gravitazionali spiegato da Einstein
Le lenti gravitazionali sono previste dalla teoria della relatività generale, secondo la quale la traiettoria della radiazione elettromagnetica, come la luce, è determinata dalla curvatura dello spazio-tempo prodotta dai corpi celesti. Questo concetto rivoluzionario, formulato da Einstein nel 1915, ha trasformato la nostra comprensione della gravità. Non più una forza che attrae, ma una curvatura del tessuto dello spazio-tempo. Nel 1912, Einstein aveva già derivato le equazioni per le lenti gravitazionali, prevedendo la possibilità di ottenere più immagini virtuali ingrandite dello stesso oggetto luminoso.
La prima conferma sperimentale di questo effetto arrivò durante l’eclissi solare del 1919, quando Sir Arthur Eddington osservò lo spostamento apparente delle stelle vicino al Sole, confermando che la luce viene effettivamente curvata dalla gravità.
L’importanza dell’effetto del lensing gravitazionale è prima di tutto teorica e risiede nella sua stessa esistenza. Si tratta di un puro effetto relativistico, dunque fornisce una prima prova della relatività di Einstein e contemporaneamente falsifica, superandola, la gravità di Newton.
La quinta immagine. Che non dovrebbe esserci
Secondo i modelli teorici standard, una Croce di Einstein dovrebbe produrre esattamente quattro immagini della galassia sorgente. La presenza di una quinta immagine centrale in HerS-3 indica la presenza di materia aggiuntiva non visibile: la materia oscura. E la materia oscura è responsabile della curvatura della luce causata dalla gravità, che crea la quinta immagine al centro di questa immagine.
Le osservazioni condotte con i radiotelescopi NOEMA e ALMA hanno confermato che tutte e cinque le immagini mostrano le stesse caratteristiche spettrali, con linee molecolari che presentano velocità centrali simili. Questo dato inequivocabile dimostra che si tratta effettivamente di immagini multiple della stessa galassia, tutte situate al medesimo redshift di 3.06.
Le immagini del telescopio spaziale Hubble hanno identificato con precisione le quattro galassie responsabili dell’effetto lente, confermando che si trovano a una distanza intermedia tra noi e la galassia sorgente. Proprio nella posizione ideale per creare questo straordinario fenomeno gravitazionale.
Nuove evidenze sulla distribuzione della materia oscura
La scoperta di HerS-3 offre un’opportunità unica per studiare la distribuzione della materia oscura su scale cosmologiche. L’esistenza della materia oscura la percepiamo attraverso i suoi effetti gravitazionali.
Vuol dire che la sua presenza altera il tessuto spazio-temporale, e quindi genera una distorsione della luce, questo fenomeno è noto come lente gravitazionale.
I modelli computazionali sviluppati dal team di ricerca suggeriscono che l’alone di materia oscura associato al gruppo di galassie deve avere una distribuzione molto particolare per generare la quinta immagine centrale. Questa configurazione estrema permette di testare le previsioni teoriche sulla struttura della materia oscura a grandi scale, fornendo vincoli preziosi sui modelli cosmologici attuali. Sono le lenti gravitazionali: addensati di materia – anche oscura, anzi: perlopiù oscura – che, deformando con la loro massa il tessuto dello spaziotempo, alterano il percorso della luce.
La materia oscura, che costituisce circa il 27% dell’universo, rimane uno dei maggiori enigmi della cosmologia moderna, rilevabile solo attraverso i suoi effetti gravitazionali.
Un laboratorio cosmico
HerS-3 rappresenta un laboratorio naturale eccezionale per verificare le previsioni della teoria di Einstein in condizioni estreme. La precisione delle osservazioni moderne permette di misurare con estrema accuratezza le distorsioni gravitazionali, confermando ancora una volta la validità della relatività generale su scale cosmologiche. Il sistema offre anche l’opportunità di studiare la formazione stellare nelle galassie primordiali. La galassia sorgente, osservata com’era 11 miliardi di anni fa, fornisce informazioni preziose sui processi di formazione stellare nell’universo giovane, amplificata e moltiplicata dall’effetto lente gravitazionale.
Le misurazioni spettroscopiche dettagliate hanno rivelato intense attività di formazione stellare nella galassia, con evidenze di venti galattici e processi dinamici tipici delle galassie ad alto redshift. Questi dati contribuiscono alla comprensione dell’evoluzione galattica nelle epoche cosmiche remote, quando l’universo aveva meno del 20% della sua età attuale.
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