La nuova disciplina scientifica promette di distinguere l’età biologica da quella cronologica attraverso metodi innovativi. Dai marcatori molecolari ai semplici test fisici, ecco come la ricerca sta ridefinendo il concetto di invecchiamento.
Come cambia il paradigma della salute
Il panorama demografico mondiale sta vivendo una trasformazione senza precedenti. Se nel 1950 soltanto una persona su venti aveva superato i 65 anni, oggi nel 2025 questa proporzione è salita drasticamente: un individuo ogni dieci appartiene alla fascia over-65. E, secondo le proiezioni demografiche più recenti, nel 2050 lo sarà 1 su 6.
Questi dati hanno spinto la comunità scientifica a riconsiderare l’approccio tradizionale alla medicina dell’invecchiamento. Non si tratta più di curare singole patologie legate all’età, ma di comprendere e rallentare i meccanismi fondamentali che causano il deterioramento cellulare. La geroscienza emerge proprio da questa necessità. Una disciplina che valuta terapie capaci di intervenire direttamente sui percorsi cellulari responsabili dell’invecchiamento, con l’obiettivo di prevenire simultaneamente diverse malattie croniche.
L’innovazione più significativa di questo campo risiede nel concetto rivoluzionario di età biologica. A differenza dell’età cronologica, che misura semplicemente il tempo trascorso dalla nascita, l’età biologica quantifica il reale stato di invecchiamento del nostro organismo. Una persona di cinquant’anni potrebbe avere un’età biologica di quaranta se il suo corpo presenta parametri fisiologici tipici di individui più giovani, oppure di sessanta se mostra segni di deterioramento accelerato.
Metodologie scientifiche per misurare l’invecchiamento biologico
La comunità scientifica ha sviluppato diversi approcci per quantificare l’età biologica, ciascuno basato su parametri specifici.
I primi tentativi utilizzavano test clinici di routine: l’ampiezza della distribuzione dei globuli rossi, i livelli di creatinina sierica, la capacità vitale forzata e il consumo massimo di ossigeno durante l’esercizio fisico (VO2 max). Quest’ultimo parametro risulta particolarmente significativo: una donna cinquantenne con un VO2 max tipico di una quarantenne viene considerata biologicamente più giovane di dieci anni.
L’analisi molecolare ha aperto frontiere ancora più precise. La metilazione (attivazione o spegnimento dei geni ndr.) del DNA rappresenta una delle metodologie più promettenti. Questo processo epigenetico, che regola l’espressione genica, subisce alterazioni specifiche con l’avanzare dell’età, fungendo da “orologio biologico” molecolare. Uno studio condotto sulla coorte di Saint Jude ha analizzato 4.117 sopravvissuti a cancri infantili, rivelando che a 35 anni questi individui presentavano un’età biologica superiore da 2,2 a 6,5 anni rispetto ai controlli sani.
La risonanza magnetica cerebrale offre un’altra prospettiva innovativa. Confrontando le caratteristiche strutturali del cervello individuale con database di riferimento, è possibile stimare l'”età cerebrale”.
Il test dell’equilibrio
Una scoperta recente della Mayo Clinic ha rivoluzionato l’approccio alla misurazione dell’età biologica, proponendo un metodo estremamente semplice ma sorprendentemente efficace. Lo studio ha coinvolto 40 persone sane, metà con meno di 65 anni e metà oltre questa soglia, sottoponendole a test di equilibrio, forza e velocità di camminata.
I risultati hanno evidenziato che per i 70enni il limite minimo per restare in equilibrio era di 22 secondi, mentre per gli 80enni la durata scende notevolmente. La capacità di mantenere l’equilibrio su una gamba sola si è rivelata un indicatore più affidabile dell’invecchiamento rispetto alla forza fisica o alla velocità del passo. Questo test rappresenta un marcatore accessibile dell’età biologica, utilizzabile anche al di fuori dei contesti clinici specializzati.
La ricerca ha inoltre identificato pannelli di proteine circolanti nel sangue, come la proteina GDF-15 e la cistatina C, quali indicatori dello stato di salute legato all’età. Parallelamente, i biologi stanno mappando percorsi cellulari specifici che influenzano durata e qualità della vita: la regolazione dei telomeri, l’omeostasi proteica, l’autofagia e la funzione mitocondriale.
Tutte le strategie anti-invecchiamento
Le ricerche sperimentali hanno identificato approcci promettenti per rallentare l’invecchiamento biologico. La restrizione calorica rappresenta l’intervento più studiato e consolidato. Nei modelli murini (topi geneticamente modificati ndr), questa strategia aumenta la durata media della vita dal 10% al 40% rispetto agli animali alimentati liberamente. E influenza
favorevolmente percorsi cellulari cruciali come il rilevamento dei nutrienti, la sintesi proteica, l’autofagia e l’infiammazione.
Negli esseri umani affetti da obesità e diabete, la randomizzazione a ricevere restrizione calorica si è associata a una riduzione del 15% della mortalità per tutte le cause e a una minore incidenza di malattie croniche correlate al peso. Questi dati suggeriscono che l’intervento nutrizionale mirato possa influenzare significativamente i processi di invecchiamento anche nella specie umana.
Un’altra area di ricerca particolarmente affascinante riguarda le cellule senescenti, che si accumulano progressivamente nell’organismo con l’avanzare degli anni.
Queste cellule, caratterizzate da arresto della crescita e resistenza alla morte cellulare programmata, sono associate a maggiore fragilità fisica e aumento della mortalità. La riduzione del loro numero nei modelli animali prolunga la durata della vita e migliora funzioni fisiche come forza di presa, mobilità e frazione di eiezione cardiaca.
La metformina, farmaco di prima linea per il diabete di tipo 2, ha mostrato effetti promettenti negli studi su primati e umani. Con miglioramenti nella memoria e rallentamento di segni di invecchiamento muscolare e cellulare. Tuttavia, altri trial clinici come UKPDS e Diabetes Prevention Program non hanno confermato vantaggi duraturi rispetto agli interventi sullo stile di vita per prevenire fragilità, declino cognitivo o altre patologie legate all’età.
La geroscienza sta ancora consolidando le proprie basi scientifiche, con risultati spesso contrastanti che richiederanno tempo per essere definitivamente chiariti. Nonostante le incertezze, questa disciplina rappresenta un cambio di paradigma fondamentale nella medicina moderna, spostando l’attenzione dalla cura delle singole malattie alla prevenzione dell’invecchiamento patologico stesso.
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