La scienza sfida i limiti biologici della vita riproduttiva femminile attraverso farmaci innovativi
Mentre l’aspettativa di vita continua ad aumentare, l’età della menopausa rimane sostanzialmente invariata, costringendo le donne a vivere una porzione sempre maggiore della loro esistenza in uno stato post-menopausale. Una condizione che comporta conseguenze che vanno oltre la sfera riproduttiva, influenzando la salute cardiovascolare, ossea e cognitiva. La ricerca scientifica contemporanea sta però aprendo nuovi scenari. L’obiettivo non è più soltanto gestire i sintomi della menopausa, ma intervenire direttamente sui meccanismi dell’invecchiamento ovarico per ritardarne la comparsa. Questa nuova frontiera si basa sull’utilizzo di farmaci geroprotettori, sostanze capaci di rallentare i processi fondamentali dell’invecchiamento cellulare.
La rapamicina: dal trapianto di organi alla longevità
Tra i protagonisti di questa rivoluzione terapeutica spicca la rapamicina, un immunosoppressore utilizzato da decenni per prevenire il rigetto nei trapianti d’organo. Negli ultimi anni, il farmaco ha attirato l’attenzione della comunità scientifica internazionale per le sue proprietà anti-invecchiamento. La ricerca ha dimostrato che la rapamicina può estendere significativamente la durata della vita in salute nei modelli animali, agendo su meccanismi biologici fondamentali. Il team guidato da Zev Williams del Columbia University Fertility Center e Yousin Suh, ha avviato il trial clinico Vibrant, per esplorare l’impatto della rapamicina sull’invecchiamento ovarico. Questo approccio rappresenta un cambio di paradigma: invece di limitarsi a sostituire gli ormoni mancanti, la ricerca punta a preservare la funzionalità ovarica stessa.
La scienza dei geroprotettori
L’invecchiamento rappresenta il principale fattore di rischio per la maggior parte delle malattie croniche. La sua incidenza aumenta drammaticamente dalla mezza età in poi, coinvolgendo sia uomini che donne. La ricerca moderna ha però dimostrato che l’invecchiamento non è una semplice “usura” meccanica, ma un processo regolato da meccanismi biologici precisi, controllati da geni specifici e pathways molecolari. “Intervenendo su questi target è possibile estendere la durata della vita e, soprattutto, della salute nei modelli preclinici”, spiega Yousin Suh. I farmaci che agiscono su questi processi fondamentali vengono definiti geroprotettori e rappresentano una delle frontiere più promettenti della medicina contemporanea. L’ovaio infatti è uno dei primi organi a invecchiare, già intorno ai 30 anni, con una velocità rimasta sostanzialmente immutata nel tempo, mentre l’aspettativa di vita umana è aumentata considerevolmente.
Lo Studio Vibrant: primi risultati promettenti
Lo studio Vibrant ha riguardato 50 donne in età fertile, tra i 35 e i 45 anni. La metà delle partecipanti ha ricevuto rapamicina a dosi significativamente ridotte rispetto a quelle utilizzate nei trapianti: 5 mg a settimana per 12 settimane, contro i 13 mg al giorno prescritti ai pazienti trapiantati. L’obiettivo non è estendere la fertilità, ma rallentare la velocità di invecchiamento ovarico. I risultati non hanno evidenziato effetti collaterali significativi e il ciclo mestruale delle partecipanti non è stato alterato. Le donne hanno riportato miglioramenti nella salute generale, nella memoria, nei livelli di energia e nella qualità di pelle e capelli. L’ipotesi dei ricercatori è che il farmaco possa ridurre la perdita mensile di follicoli ovarici da circa 50 a circa 15, rallentando così l’invecchiamento delle ovaie del 20%.
Il futuro della ricerca
I risultati sono così incoraggianti che Williams e la sua squadra sono già al lavoro su Vibrant II, uno studio più ampio che coinvolgerà circa mille donne. Parallelamente, diverse aziende biotecnologiche, come Tornado Therapeutics, stanno sviluppando analoghi della rapamicina specificamente progettati per questo scopo. L’applicazione immediata di questi farmaci potrebbe riguardare le donne che affrontano la menopausa precoce, prima dei 45 anni, una condizione associata a maggiori rischi per la salute. Tuttavia, questa soluzione non è adatta a tutte: per alcune donne affette da disturbi come endometriosi, fibromi o emicranie mestruali, la sospensione delle mestruazioni rappresenterebbe invece un vantaggio.
La rivalutazione della terapia ormonale sostitutiva
Parallelamente alla ricerca sui geroprotettori, si sta assistendo a una rivalutazione della terapia ormonale sostitutiva. Le formulazioni moderne, come cerotti e gel transdermici, hanno mostrato profili di rischio più favorevoli rispetto alle versioni precedenti. Inoltre, successive analisi hanno evidenziato limiti interpretativi dello studio originale, in particolare il fatto che la maggior parte delle partecipanti aveva oltre 60 anni, ben oltre il periodo ottimale per iniziare la terapia ormonale. La Food and Drug Administration americana ha recentemente ospitato un panel di esperti per discutere la rimozione delle avvertenze sui rischi della terapia ormonale sostitutiva. Come ha spiegato il nuovo commissario Marty Makary, “quando una donna inizia le cure ormonali entro un anno dal climaterio, i suoi rischi di infarto e malattie cardiache in realtà scendono del 25-50%”.
La situazione italiana
In Italia, peraltro, un’indagine del 2022 della Fondazione Onda ha rivelato che soltanto il 5% delle donne ricorre alla terapia ormonale sostitutiva, preferendo integratori alimentari (27%) e prodotti erboristici (17%). Tuttavia, le istituzioni stanno promuovendo iniziative per migliorare l’informazione e l’accesso alle cure specialistiche per la menopausa, riconoscendo l’importanza di questa fase della vita femminile. La ricerca futura dovrà concentrarsi sullo sviluppo di approcci terapeutici personalizzati. Non esiste, infatti, una soluzione unica, valida per tutte le donne. Il trattamento – raccomandano gli specialisti – dovrebbe essere deciso attraverso una discussione condivisa tra medico e paziente, considerando i fattori di rischio individuali, le preferenze personali e gli obiettivi di salute specifici.
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