Grandi club e piccole società sportive: l’ex radiocronista racconta evoluzione e limiti dello sport più seguito al mondo
Ore 14:30, tutti in campo, stadi pieni, bandiere e striscioni. Un’ora dopo, per chi era rimasto a casa, accensione d’obbligo della radio per ascoltare Tutto il calcio minuto per minuto, la storica trasmissione Rai che offriva agli appassionati le radiocronache del secondo tempo delle partite. Una narrazione d’altri tempi. Oggi è di moda il “calcio spezzatino”: si comincia a giocare il venerdì e si finisce il lunedì sera. Nuove usanze nel rispetto degli interessi televisivi: se vuoi vedere, paghi. Oltre a Bortoluzzi, Ameri e Ciotti, uno dei cronisti, protagonista di quella storica trasmissione, è stato Riccardo Cucchi. A 50&Più racconta la sua su come sta cambiando lo sport più seguito al mondo.
Riccardo Cucchi, è appena iniziata la nuova stagione calcistica. È un bene o un male il fatto che ci si sia allontanati dal calcio del “tutti in campo alle 14:30”?
Indiscutibilmente è un fatto che testimonia l’evoluzione che sta avendo il calcio. Per chi, come me, appartiene ad un’altra generazione e ha lavorato in quella trasmissione, è un vero peccato. Però, diciamo la verità, per i giovani è più appetibile seguire più partite nello stesso giorno o in giorni diversi e con mezzi diversi, rispetto a noi che siamo nativi radiofonici. E forse, ancora oggi, il modo più bello di seguire il calcio è proprio la radio, che richiede un esercizio di fantasia straordinario. La capacità del radiocronista di raccontare ciò che vede evidentemente stimola la fantasia di chi ascolta. Significa riuscire a trasformare le parole in immagini. Insomma, l’ascolto della radio è un esercizio di creatività che la televisione non può suscitare.
La nuova organizzazione del calcio non rischia di mettere in secondo piano la regolarità dei tornei? Basta citare la non concomitanza delle partite di campionato.
Sì, è vero, ma non bisogna essere troppo nostalgici. Le squadre si sono abituate a gareggiare in modalità diverse, è cambiato il calcio e sono cambiati i calciatori. Si gioca con la stessa intensità in casa o in trasferta e a qualunque orario. Alla fine, tutto questo non modifica più di tanto la regolarità delle gare, anche se effettivamente è venuta a mancare la contemporaneità delle partite.
Un altro aspetto del calcio di oggi è il “fair play finanziario”, salutato come strumento per regolarizzare i conti delle società. Non rischia però di continuare a favorire i grandi club rispetto ai più piccoli?
Questo è un grande tema che ha degli indubbi riflessi sportivi. Il nostro campionato viaggia con un debito complessivo enorme di cinque miliardi di euro. Allora ci si chiede come faccia questa azienda a sopravvivere? Ma non si può parlare di fallimento, perché sono tanti e troppi gli interessi collegati. È chiaro che c’è un riflesso importante: grandi club con debiti mostruosi continuano a fare la loro campagna acquisti, mentre società con debiti più esigui o con i conti in ordine non possono operare allo stesso modo. E questo è qualcosa su cui meditare.
È un calcio da guardare sempre più in poltrona, e a pagamento, e sempre meno allo stadio.
C’è un processo di privatizzazione del calcio e questo mi preoccupa, perché questo sport rischia di diventare da fenomeno popolare a fenomeno di élite. Io personalmente preferisco il calcio allo stadio, non solo per il mio lavoro di radiocronista, ma perché ancora prima ero un tifoso di curva e oggi sono tornato ad essere un abbonato, continuando a seguire la mia squadra dagli spalti più che in tv. Per me c’è una sola partita: quella che si vede allo stadio. In televisione è una sorta di affascinante fiction, un montaggio in diretta di immagini riprese da 24 telecamere che ti offrono uno spettacolo che non è quello vero che si vede invece allo stadio. Solo lì si capisce che il calcio è tutta un’altra cosa.
Anche se a volte la visione della partita allo stadio è qualitativamente difficoltosa, spesso per la lontananza eccessiva dal campo.
Allo stadio quello che si perde in termini di visibilità lo si recupera con il grande calore, il grande sentimento e la passione: emozioni che si condividono in uno spazio così grande, dove l’aspetto umano prevale su ogni altro aspetto e, a me, piace il calcio dei sentimenti.
E il calcio in effetti continua ad appassionare. Che cosa ha questo sport di diverso rispetto ad altre discipline?
La caratteristica principale del calcio è la sua grande radice popolare. Il calcio nasce quando un bambino prende a calci una palla o anche un barattolo. È un gesto istintivo che mostra l’umanità di questo sport. Purtroppo, vedo sempre meno bambini giocare a pallone in strada. Invece, ci sono le scuole calcio, che però sono costose. Dunque, il calcio è diventato a pagamento anche per i bambini e questa è una cosa grave che si riflette negativamente sulle fasce meno abbienti della popolazione, mentre prima i campioni venivano dalla strada e dalle parrocchie. Per tirare le somme, l’industria calcio non produce beni concreti, ma importantissimi beni immateriali che sono la passione e i sentimenti. Questa è la base fondante di questo sport che io amo.
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