Il “Rhisotope Project” utilizza la scienza nucleare per rendere i corni invendibili e facilmente tracciabili, spostando la lotta ai trafficanti dalle savane alle frontiere internazionali. Una strategia audace per proteggere una specie iconica, messa in ginocchio da un mercato illegale che non conosce crisi.
Isotopi di controllo
In Sudafrica, terra che ospita la più grande popolazione di rinoceronti del pianeta, la battaglia contro il bracconaggio si combatte con un’arma tanto inedita quanto potente: la scienza nucleare.
L’Università di Witwatersrand, a Johannesburg, ha ufficialmente avviato la fase operativa del “Rhisotope Project“, un’iniziativa che mira a colpire il cuore del traffico illegale dei corni di rinoceronte. L’idea, tanto semplice quanto innovativa, consiste nell’iniettare nel corno degli animali una piccola e innocua quantità di isotopi radioattivi. Questo “marchio invisibile” ha un duplice, potentissimo effetto.Da un lato, rende il corno facilmente rilevabile dalle migliaia di sensori anti-radiazioni già installati in porti e aeroporti di tutto il mondo. Dall’altro, lo svaluta drasticamente agli occhi dei consumatori finali, preoccupati dalla potenziale contaminazione.
Dopo anni di ricerca e test rigorosi, il progetto è entrato nella sua fase cruciale. I ricercatori hanno confermato, attraverso studi pilota su una ventina di esemplari, la totale sicurezza della procedura per gli animali. Le analisi, condotte anche in collaborazione con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), hanno dimostrato che le bassissime dosi di radioisotopi non causano alcun danno alla salute dei rinoceronti né alterano il loro comportamento.
Ora, con l’inizio delle iniezioni su più vasta scala, si apre un nuovo fronte nella guerra a un crimine che, solo in Sudafrica, ha causato la morte di quasi 10.000 rinoceronti nell’ultimo decennio. L’obiettivo è trasformare il corno da un bene di lusso, il cui valore sul mercato nero può superare quello di oro e cocaina, in un pericoloso e inutile fardello per i trafficanti.
Il progetto Rhisotope: il nucleare disinnesca il bracconaggio
Il meccanismo alla base del “Rhisotope Project” è una raffinata applicazione della fisica nucleare alla conservazione della fauna selvatica.
Guidato dal professor James Larkin dell’Unità di Fisica della Radiazione e della Salute di Witwatersrand, il team ha sviluppato una tecnica per inserire nel corno del rinoceronte una dose attentamente calibrata di materiale radioattivo. Questo non solo è innocuo per l’animale, la cui salute viene costantemente monitorata, ma agisce come un localizzatore permanente e non rimovibile.
L’infrastruttura globale per la sicurezza nucleare, con oltre 11.000 portali di rilevamento delle radiazioni dispiegati a livello internazionale, diventa così un’alleata inaspettata. Mentre le risorse per individuare il contrabbando di fauna selvatica sono limitate, quelle per la minaccia nucleare sono capillari e all’avanguardia. Qualsiasi corno trattato che passi attraverso uno di questi varchi farà scattare un allarme, portando all’identificazione e all’arresto dei corrieri e, potenzialmente, allo smantellamento delle rotte del traffico. Il secondo, e non meno importante, scopo è la svalutazione sul mercato finale, prevalentemente asiatico, dove il corno viene polverizzato e usato nella medicina tradizionale o esibito come status symbol. La prospettiva di acquistare un prodotto “radioattivo” dovrebbe agire da potente deterrente, riducendo la domanda alla fonte secondo il principio “se nessuno compra, nessuno uccide”.
I numeri di una strage: il contesto del bracconaggio
Per comprendere l’importanza di iniziative come il Progetto Rhisotope, è fondamentale analizzare la portata del fenomeno del bracconaggio. Il Sudafrica, con una popolazione stimata di circa 16.000 esemplari, è l’epicentro di questa mattanza. Nonostante un recente calo, i numeri restano drammatici: nel 2024 sono stati uccisi 420 rinoceronti, un dato leggermente inferiore ai 499 dell’anno precedente, ma che dimostra una pressione costante.
Il Parco Nazionale Kruger e, più di recente, la provincia di KwaZulu-Natal, sono le aree più colpite. Il motore di questo sterminio è la domanda insaziabile proveniente da alcuni Paesi asiatici, come Vietnam e Cina, dove al corno di rinoceronte, composto in realtà da semplice cheratina (la stessa sostanza delle unghie umane), vengono attribuite improbabili proprietà curative o viene ostentato come simbolo di potere e ricchezza.
Inoltre il valore economico è sbalorditivo. Un chilogrammo di corno può arrivare a costare oltre 50.000 euro sul mercato nero, alimentando reti criminali transnazionali complesse e violente. Queste organizzazioni gestiscono il traffico con la stessa efficienza riservata a droghe e armi, sfruttando corruzione e rotte complesse per eludere i controlli.
Una strategia integrata per la sopravvivenza
Il Progetto Rhisotope non si pone come l’unica soluzione, ma come un tassello fondamentale all’interno di una strategia di conservazione molto più ampia e complessa. Si affianca ad altre misure, alcune delle quali già in atto da anni con risultati alterni. Una delle pratiche più diffuse è la “decornazione”, ovvero il taglio preventivo e controllato del corno per rendere l’animale meno appetibile ai bracconieri.
Uno studio recente della Nelson Mandela University, ha mostrato come questa tecnica, sebbene drastica, abbia ridotto i casi di bracconaggio fino al 78% in alcune riserve, con un costo notevolmente inferiore rispetto alle tradizionali misure di sicurezza. Tuttavia, anche questa pratica non è infallibile, poiché i bracconieri talvolta uccidono ugualmente gli animali per prelevare il moncone rimasto. Altre tecnologie, come l’uso di droni, telecamere termiche e intelligenza artificiale, stanno fornendo un supporto cruciale ai ranger sul campo, specialmente durante i pattugliamenti notturni in aree vaste e difficili da controllare.
La forza del Progetto Rhisotope risiede proprio nella sua capacità di integrare queste difese, spostando il campo di battaglia. Rende il corno una passività per i criminali non solo nella savana, ma lungo tutta la filiera del contrabbando, fino al consumatore finale.
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