Il nuovo “Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali” della Commissione europea promuove l’Italia per riciclo e gestione dei rifiuti, ma boccia il Paese sulla tutela della biodiversità e l’inquinamento atmosferico. A pesare nella difficile transizione ecologica, soprattutto, la carenza di investimenti
La differenza tra fabbisogno e investimenti per la transizione ecologica
In Italia la transizione ecologica viaggia a due velocità. Da un lato eccelle nel riciclo dei materiali e nella gestione dei rifiuti urbani, posizionandosi tra i Paesi Ue più virtuosi e in linea con gli obiettivi comunitari. Dall’altro, arranca su fronti cruciali come la lotta all’inquinamento atmosferico, la tutela della biodiversità e il trattamento delle acque reflue, scontando un pesante – e cronico – deficit di investimenti.
A mettere nero su bianco questa diagnosi è la Commissione Europea nella sua quarta edizione del “Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali 2025” (EIR), pubblicata a luglio. Il dato più eclatante è la cifra che in Italia manca all’appello per centrare gli obiettivi di sostenibilità: 8,3 miliardi di euro ogni anno.
L’analisi di Bruxelles
Secondo il rapporto, che analizza il periodo 2021-2027, per allinearsi agli standard ambientali europei l’Italia avrebbe bisogno di investimenti per 39,7 miliardi di euro annui. Le risorse attualmente stanziate, tuttavia, si fermano a 31,4 miliardi. Questo importo comprende fondi dell’Ue, che insieme ai prestiti della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) coprono circa il 29% del totale, e una spesa nazionale, pubblica e privata, che contribuisce per il restante 71%.
Il “buco” di 8,3 miliardi, pari allo 0,4% del Prodotto Interno Lordo nazionale, seppur significativo, segna un miglioramento rispetto al passato. Nel precedente rapporto del 2022 (relativo al periodo 2014-2020), il divario ammontava a 10,2 miliardi, a fronte di un fabbisogno stimato all’epoca in 21,9 miliardi e stanziamenti per appena 11,7 miliardi. Questo indica che, nonostante il fabbisogno di spesa sia quasi raddoppiato, anche la capacità di mobilitare risorse è cresciuta, sebbene non ancora a un ritmo sufficiente. Il nostro Paese, inoltre, presenta una “mancanza” percentuale sul Pil inferiore alla media europea, che si attesta allo 0,77%.
Dove mancano i fondi? Economia circolare e inquinamento in cima alle priorità
Scendendo nel dettaglio dei settori che più necessitano di risorse, emerge il quadro delle priorità.
La fetta più consistente degli investimenti mancanti riguarda l’economia circolare, considerata ormai un asse strategico per la competitività europea. Per questo settore, il fabbisogno annuo è di ben 17,6 miliardi di euro, ma all’appello ne mancano circa 2,8 miliardi.
A questa cifra si aggiunge un ulteriore deficit di quasi mezzo miliardo destinato alla gestione di rifiuti non direttamente collegati all’economia circolare. Segue la prevenzione e riduzione dell’inquinamento, che richiederebbe 9,2 miliardi di euro l’anno, il comparto delle acque con 8,1 miliardi e, infine, il capitolo biodiversità ed ecosistemi, per il quale servirebbero 4,8 miliardi di euro. Numeri che evidenziano come la transizione verso un modello di sviluppo più sostenibile non sia solo una questione di normative, ma anche, e soprattutto, di adeguato sostegno finanziario.
Smog e protezione delle biodiversità
Oltre i numeri, il rapporto della Commissione individua con precisione le principali criticità del “sistema-Italia”. E tra i punti da risolvere quanto prima c’è la lotta all’inquinamento atmosferico. Nonostante alcuni progressi, in molte aree del Paese, soprattutto nel bacino padano, persistono superamenti sistematici dei valori limite per inquinanti come il PM10 (un inquinante atmosferico ndr.) e il biossido di azoto (NO₂), con gravi ripercussioni sulla salute pubblica.
Un’altra nota dolente è rappresentata dal trattamento delle acque reflue, un ambito in cui l’Italia è già stata sanzionata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea per inadempienze che si trascinano da anni. Infine, il tema della biodiversità resta un tallone d’Achille: lo stato di conservazione di habitat e specie animali e vegetali nel nostro Paese necessita di un deciso miglioramento, come dimostrano anche i recenti allarmi sugli incendi che hanno devastato decine di migliaia di ettari di aree naturali protette.
Per colmare queste lacune, Bruxelles suggerisce una strategia basata su più fronti. In primo luogo, un miglioramento della governance, che stimoli una maggiore sinergia tra governo centrale, Regioni ed enti locali per rendere più efficaci le politiche sul campo. È fondamentale, inoltre, un maggiore impiego di risorse nazionali, ottenuto anche attraverso una riforma fiscale che aumenti le imposte a favore dell’ambiente e, parallelamente, riduca progressivamente le sovvenzioni dannose per l’ambiente (SAD). Su quest’ultimo punto, l’Italia ha già una strada ben tracciata, definita anche dagli impegni presi nell’ambito del PNRR.
Entro la fine del 2025 dovrà essere introdotta una norma per tagliare queste sovvenzioni di almeno 2 miliardi di euro nel 2026, con un’ulteriore riduzione di 3,5 miliardi prevista entro il 2030. Un percorso obbligato per trasformare finalmente le criticità ambientali in un’opportunità di crescita e competitività.
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