Il musicista, 83 anni, si è spento dopo una carriera di oltre sessant’anni. Dal beat degli esordi ai grandi successi melodici, Livio Macchia è stato il pilastro di una delle band più amate del nostro Paese.
Una vita di passione per il palco
La musica italiana perde uno dei suoi pilastri più discreti e al tempo stesso fondamentali. Livio Macchia, fondatore, bassista e anima storica dei Camaleonti, si è spento il 29 luglio all’età di 83 anni. La notizia ha suscitato un’ondata di commozione nel pubblico e tra gli addetti ai lavori, perché con lui se ne va un pezzo di storia della canzone, quella che ha fatto da colonna sonora alla vita di intere generazioni.
Macchia è deceduto nella sua casa di Melendugno, nel cuore del Salento, terra che aveva scelto come buen retiro da diversi anni e dove, appena un mese prima, aveva voluto tenere la sua ultima, indimenticabile, esibizione. Un concerto organizzato il 30 giugno per celebrare i sessant’anni di carriera della band, un evento che oggi assume i contorni di un vero e proprio testamento artistico. Nonostante una malattia con cui combatteva da tempo con grande riservatezza, la sua passione per il palco non si era mai spenta, a testimonianza di un amore viscerale per la musica che lo ha accompagnato fino all’ultimo respiro.
Dalle cantine di Milano al successo: la nascita dei Camaleonti
Nato ad Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, il 9 novembre 1941, Livio Macchia ha rappresentato il perfetto esempio di musicista per vocazione.
Trasferitosi a Milano negli anni del boom economico e del fermento culturale, fu proprio all’ombra della Madonnina che la sua avventura prese forma. Nel 1963, insieme ad amici come Antonio “Tonino” Cripezzi, Paolo De Ceglie e Riki Maiocchi, fondò i Camaleonti. Il nome stesso della band, scelto per la loro innata capacità di cambiare pelle e sound, fu profetico. Partirono dal beat più graffiante, sulla scia delle band inglesi e americane che stavano rivoluzionando la musica mondiale, proponendo cover di artisti come i Beatles e Bob Dylan.
Scoperti da Miki Del Prete, storico collaboratore di Adriano Celentano, ottennero un contratto con l’etichetta Kansas, e nel 1966 pubblicarono il loro primo album, “The Best Records in the World”.
Macchia, per il Camaleonti, non era solo il bassista, ma il perno attorno al quale ruotava l’intera formazione. Insieme al tastierista e cantante Tonino Cripezzi, scomparso nel 2022, ha costituito per sessant’anni il nucleo storico e l’identità del gruppo, superando addii importanti come quello del primo cantante Riki Maiocchi e l’ingresso di talenti come Mario Lavezzi. La loro forza? L’amicizia e la dedizione assoluta a un progetto comune.
L’impatto dei Camaleonti sulla canzone italiana
Se gli esordi sono legati al beat, è con la virata verso un pop melodico e ricercato che i Camaleonti entrano nell’Olimpo della musica italiana. La svolta arriva nel 1967: la loro versione di “Homburg” dei Procol Harum diventa “L’ora dell’amore”, un successo clamoroso che vende oltre un milione e mezzo di copie e resta in vetta alle classifiche per dieci settimane. Da quel momento, la loro carriera è una sequenza di trionfi. Brani come “Applausi”, con le sue quasi 900.000 copie vendute, “Io per lei”, “Viso d’angelo”, “Eternità” (portata a Sanremo nel 1970 insieme a Ornella Vanoni) e “Come sei bella” diventano classici senza tempo, canzoni che hanno scandito i momenti più importanti nella vita di milioni di italiani.
Hanno partecipato a numerose edizioni del Festival di Sanremo, del Cantagiro e del Festivalbar, pubblicando oltre venti album e consolidando la loro fama di musicisti impeccabili e artisti capaci di emozionare. In tutto questo, il ruolo di Livio Macchia è stato cruciale: la sua linea di basso non era mai banale, sempre funzionale a sostenere la melodia e a dare profondità ai brani. Era il collante del gruppo, l’uomo che garantiva continuità e coerenza, un faro sicuro anche dopo la dolorosa perdita dell’amico e “fratello” Tonino Cripezzi.
L’ultimo applauso per Livio Macchia
Parlare di Livio Macchia significa parlare di dedizione. Non era una rockstar da copertina, ma un “musico” che ha fatto del palco la sua seconda casa per oltre mezzo secolo.
La sua scelta di esibirsi a Roca Nuova, a due passi da casa sua, per il concerto dei sessant’anni dei Camaleonti, è stata un’ultima, potentissima, dichiarazione d’amore per il suo pubblico e per la sua arte. In quella serata, aveva voluto ricordare anche gli altri compagni di viaggio scomparsi, da Cripezzi a Paolo De Ceglie, trasformando l’evento in una grande celebrazione della memoria collettiva. Macchia lascia un vuoto non solo per la sua abilità di musicista ma per ciò che rappresentava: la serietà professionale, la passione che non cede al passare del tempo e l’umiltà dei grandi artisti.
La storia dei Camaleonti finisce qui, ma le loro canzoni continueranno ad incantare le future generazioni. E la vita di Livio Macchia è già incisa sul grande vinile della musica italiana.
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