L’ultimo rapporto di Antigone, “L’emergenza è adesso”, fotografa un sistema penitenziario sull’orlo del collasso: il tasso di affollamento è al 134%, le celle sono invivibili e aumentano i gesti estremi. Mentre i piani edilizi restano al palo, il disagio psicofisico dilaga tra detenuti e agenti.
Una realtà sull’orlo della crisi
Una fotografia, quella scattata dal nuovo rapporto di metà anno dell’associazione Antigone, che descrive un sistema penitenziario italiano sempre più prossimo al collasso. “L’emergenza è adesso”, titolo del report è anche un grido d’allarme di fronte a una realtà fatta di sovraffollamento cronico, condizioni di vita disumane, un’escalation di suicidi e un disagio psicologico dilagante che non risparmia nemmeno gli agenti di polizia penitenziaria.
I dati, frutto di 86 visite ispettive condotte negli ultimi dodici mesi, raccontano di un’emergenza non più procrastinabile, che la politica sembra affrontare con annunci e promesse piuttosto che con interventi strutturali efficaci. Un quadro che getta un’ombra pesante sul rispetto dei diritti fondamentali e sulla reale funzione rieducativa della pena nel nostro Paese.
Il sovraffollamento, un dramma quotidiano dietro le sbarre
I numeri parlano da soli e descrivono una pressione insostenibile. A fine giugno 2025, le carceri italiane ospitavano 62.728 persone, a fronte di una capienza regolamentare di 51.276 posti.
Questo dato, già allarmante, peggiora se si considera che oltre 4.500 posti risultano di fatto inagibili. Il tasso di affollamento medio nazionale schizza così al 134,3%, ma con picchi che superano il 150% in ben 62 istituti e toccano vette del 190% in carceri come San Vittore a Milano e Regina Coeli a Roma. Questo si traduce in una quotidianità infernale, soprattutto durante i mesi estivi, quando le celle si trasformano in veri e propri forni.
Il rapporto di Antigone parla di temperature che raggiungono i 37 gradi, con ventilatori acquistabili solo a pagamento e in numero limitato e un accesso all’acqua spesso limitato. In queste condizioni, oltre il 60% dei detenuti vive in regime di custodia chiusa, costretto a passare la maggior parte della giornata ammassato in spazi incandescenti, una condizione che sfida la soglia della dignità umana.
Rapporto Antigone e lo spazio vitale negato
Una delle violazioni più gravi documentate riguarda lo spazio minimo vitale. Nel 35,3% degli istituti visitati da Antigone sono state trovate celle in cui non vengono garantiti nemmeno i 3 metri quadri calpestabili per persona, un parametro indicato come soglia minima dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
La percentuale è in netto aumento rispetto al 28,3% registrato nel 2023. Su questo punto esiste una discrasia con i dati ufficiali forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), che si spiega con un diverso metodo di calcolo.
L’applicativo del Ministero, infatti, non detrae dalla superficie totale lo spazio occupato dal bagno annesso, a differenza di quanto stabilito dalla giurisprudenza europea e dalla stessa Cassazione italiana. I nostri tribunali, infatti, specificano che dal calcolo vanno detratti tutti gli arredi fissi, come letti a castello e armadietti. Il risultato è che l’Italia continua a essere sistematicamente condannata per violazione dell’articolo 3 della CEDU, proprio per la mancanza di spazio vitale. Ogni anno sono oltre 4.000 i ricorsi accolti, un numero superiore a quello che portò alla storica sentenza Torreggiani.
La bomba a orologeria del disagio psichico e dei suicidi
Il sovraffollamento e le condizioni disumane sono il terreno fertile per un’emergenza sanitaria e psicologica fuori controllo. Dall’inizio dell’anno, secondo il dossier di Ristretti Orizzonti, si sono contati 45 suicidi tra i detenuti, di cui 11 solo tra giugno e luglio. Si tratta di una cifra drammaticamente alta, seconda solo al record negativo del 2024. Quasi la metà delle vittime era di origine straniera (22 persone) e in molti casi si trattava di persone con fragilità pregresse: almeno cinque soffrivano di disturbi psichici e dodici erano senza fissa dimora. Molti di questi gesti estremi avvengono in fasi delicatissime della detenzione, come l’ingresso in istituto o in prossimità del fine pena.
La sofferenza, però, colpisce anche chi lavora in carcere: nel 2025 si sono già tolti la vita tre agenti della polizia penitenziaria. I dati di Antigone mostrano un uso massiccio di farmaci per tenere sotto controllo l’ansia e la disperazione: il 45,1% dei reclusi assume regolarmente sedativi o ipnotici, mentre il 21,7% è in terapia con antidepressivi o antipsicotici, con un 14,2% che presenta diagnosi psichiatriche gravi. Tutte percentuali in netta crescita.
Il miraggio delle misure alternative
La situazione appare ancora più grave se si guarda al sistema penale minorile. A seguito del cosiddetto “Decreto Caivano“, in meno di tre anni la popolazione detenuta negli Istituti Penali per Minorenni (IPM) è aumentata del 50%.
Le testimonianze raccolte da Antigone parlano di ragazzi costretti a dormire su materassi poggiati a terra, in celle chiuse per la maggior parte del giorno e con un ricorso allarmante agli psicofarmaci. A destare ulteriore preoccupazione è il fatto che oltre il 60% di questi giovani sia ancora in attesa di un giudizio definitivo e che, solo nella prima metà del 2025, ben 91 ragazzi siano stati trasferiti in istituti per adulti. A questa stretta repressiva fa da contraltare un utilizzo ancora troppo timido delle misure alternative alla detenzione. Sebbene le persone in carico agli uffici per l’esecuzione penale esterna siano aumentate, raggiungendo quota 100.639, sono ancora 23.970 i condannati con un residuo di pena inferiore ai tre anni che, potenzialmente, potrebbero accedere a un percorso alternativo al carcere.
Mentre la realtà delle carceri italiane racconta di una crisi umanitaria profonda, la risposta della politica si scontra con i numeri. A fronte della promessa di realizzare 7.000 nuovi posti detentivi entro la fine dell’anno, nell’ultimo anno ne sono stati creati appena 42; anzi, i posti effettivi disponibili sono addirittura diminuiti di 394 unità.
Questo scarto tra annunci e fatti evidenzia una mancanza di strategie efficaci e una visione che continua a privilegiare un approccio puramente repressivo anziché investire in alternative credibili, come chiede da tempo l’associazione Antigone.
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