Una nuova ricerca del Karolinska Institutet, pubblicata su Science, aggiorna il dibattito scientifico. Utilizzando tecnologie avanzate, è stata confermata la neurogenesi nel cervello umano fino a tarda età, aprendo scenari inediti per future terapie rigenerative.
Nuove origini
Un team di ricercatori del prestigioso Karolinska Institutet in Svezia ha fornito prove autorevoli che il cervello umano continua a produrre nuovi neuroni ben oltre l’infanzia, arrivando fino alla terza età.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Science, conferma un processo noto come neurogenesi nell’ippocampo, la regione cerebrale cruciale per memoria, apprendimento e regolazione delle emozioni. Questa ricerca, guidata dal professor Jonas Frisén, non solo mette un punto a un dibattito che divideva la comunità scientifica da decenni, ma apre anche prospettive concrete per lo sviluppo di terapie rigenerative.
Per anni, l’idea che il cervello adulto fosse un organo statico, condannato a perdere progressivamente i propri neuroni, ha dominato il pensiero scientifico. Eppure, già nel 2013, lo stesso gruppo di Frisén aveva offerto un primo, solido indizio del contrario, usando la datazione al carbonio-14 per dimostrare che nell’ippocampo adulto si formavano nuove cellule. Mancava, però, l’anello mancante: la prova inconfutabile dell’esistenza e dell’attività delle cellule che danno origine a questi nuovi neuroni.
Identificate le cellule progenitrici neurali
La vera svolta della nuova ricerca risiede nell’aver “fotografato” per la prima volta le cellule madri dei neuroni, le cosiddette cellule progenitrici neurali, in piena attività nel cervello adulto. Il team del Karolinska Institutet ha affermato di aver identificato queste cellule d’origine, confermando così una formazione continua di neuroni nell’ippocampo dell’adulto.
Per raggiungere questo risultato, gli scienziati hanno impiegato un arsenale di tecnologie di ultima generazione. Hanno analizzato campioni di tessuto cerebrale provenienti da biobanche internazionali e appartenenti a persone di età compresa tra 0 e 78 anni. Attraverso la combinazione del sequenziamento dell’RNA a singolo nucleo, che mappa l’attività genica di ogni singola cellula, della citometria a flusso per studiarne le proprietà, e di complessi algoritmi di machine learning, è stato possibile identificare le diverse fasi dello sviluppo neuronale.
I ricercatori sono riusciti a distinguere le cellule staminali dai neuroni immaturi, molti dei quali colti in piena fase di divisione cellulare. Un risultato che fornisce la prova diretta che il processo non solo esiste, ma è attivo e dinamico.
La tecnologia per “vedere” la nascita dei neuroni nel cervello adulto
Per localizzare con precisione millimetrica queste cellule nascenti, i ricercatori hanno utilizzato due tecniche di imaging molecolare estremamente avanzate, note come RNAscope e Xenium. Questi metodi hanno permesso di confermare che la culla di questi nuovi neuroni si trova in un’area specifica dell’ippocampo chiamata “giro dentato”. La regione non è una zona qualsiasi del cervello: è fondamentale per la formazione di nuovi ricordi, per l’apprendimento e per la nostra flessibilità cognitiva, ovvero la capacità di adattarci a nuove situazioni.
La scoperta attuale completa il quadro che aveva iniziato a delinearsi più di dieci anni fa con lo studio basato sul carbonio-14. Se allora si era avuta la prova dell’esistenza di neuroni “giovani”, oggi si è riusciti a osservare la loro fabbrica, dimostrando che il cervello umano conserva una capacità di rinnovamento che si pensava perduta con l’infanzia.
Ma la neurogenesi non è uguale per tutti
Un altro dato emerso dallo studio è la notevole variabilità da individuo a individuo. L’analisi ha infatti rivelato che, mentre alcuni cervelli adulti mostravano un’abbondante presenza di cellule progenitrici neurali, altri ne avevano pochissime. In circa un terzo dei donatori adulti analizzati, i segni della neurogenesi erano quasi assenti.
Questa diversità, secondo alcuni esperti, potrebbe iniziare a spiegare perché alcune persone mantengono un’elevata lucidità mentale in età avanzata mentre altre subiscono un declino cognitivo più rapido. Sebbene i progenitori neuronali umani siano simili a quelli riscontrati in altri mammiferi come topi e scimmie, esistono alcune differenze nei geni attivi, suggerendo una specificità della neurogenesi umana.
Le implicazioni per Alzheimer e depressione
Le conseguenze di questa scoperta vanno ben oltre la pura conoscenza scientifica. Come spiegato dagli stessi ricercatori, si tratta di un pezzo fondamentale del puzzle per comprendere come funziona e si modifica il nostro cervello nel corso della vita. La conferma della neurogenesi adulta apre scenari terapeutici rivoluzionari. L’ipotesi, tanto ambiziosa quanto concreta, è quella di poter un giorno sviluppare trattamenti rigenerativi in grado di stimolare questo processo naturale.
Malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, in cui la morte dei neuroni gioca un ruolo chiave, potrebbero trovare un nuovo fronte di combattimento. Poter riattivare le cellule staminali “dormienti” per generare nuovi neuroni, infatti, potrebbe rappresentare una strategia per rallentare, o persino contrastare, la progressione della malattia. Allo stesso modo, disturbi psichiatrici come la depressione, anch’essi associati a un calo della neurogenesi, potrebbero beneficiare di terapie mirate a potenziare la capacità rigenerativa del cervello.
Il cammino verso applicazioni cliniche è ancora lungo e complesso, ma la strada è tracciata. La sua plasticità è un dono che conserviamo per tutta la vita e che ora, forse, potremmo imparare a coltivare.
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