Il nuovo Mondiale per Club a 32 squadre, in corso negli Stati Uniti, si sta rivelando un percorso a ostacoli. Qualcuno parla addirittura di flop. Spalti vuoti, biglietti svenduti e un’atmosfera da amichevole estiva sollevano interrogativi sul reale interesse del pubblico americano.
Spalti vuoti e promozioni disperate
Doveva essere la consacrazione globale del calcio per club, una sorta di “Super Bowl del pallone”. Eppure, le immagini che arrivano dagli stadi statunitensi raccontano una storia in netto contrasto con la narrazione trionfalistica della FIFA.
Partite che vedono in campo club blasonati come il Chelsea si sono giocate in scenari surreali, con interi anelli degli impianti deserti. Il caso più eclatante ha riguardato la sfida tra i “Blues” e il Los Angeles FC ad Atlanta. Al Mercedes-Benz Stadium, un impianto da 71.000 posti, erano presenti poco più di 22.000 spettatori. Una situazione che ha spinto il tecnico del Chelsea, Enzo Maresca, a commentare l’ambiente come “strano” e “quasi innaturale per dei professionisti”.
Una situazione che si è ripetuta in diverse altre partite della fase a gironi, con un tasso di riempimento medio degli stadi di poco superiore al 50%.
Dati che impallidiscono se confrontati con quelli dei principali campionati europei, dove si superano agevolmente l’80% e – in stadi blasonati – il 90%. Per correre ai ripari ed evitare l’imbarazzo di riprese televisive con tribune vuote, gli organizzatori sono ricorsi a drastiche riduzioni dei prezzi e a promozioni dell’ultimo minuto. I biglietti per la gara inaugurale dell’Inter Miami di Leo Messi, inizialmente venduti a quasi 350 dollari, sono crollati a meno di 80. Iniziative ancora più “aggressive” hanno coinvolto studenti universitari, ai quali sono stati offerti pacchetti di biglietti a prezzi irrisori, nel disperato tentativo di riempire i posti vuoti.
Le ragioni di un’accoglienza fredda: perché il “soccer” non decolla
Il tiepido entusiasmo del pubblico americano, va detto, ha radici profonde. Il “soccer”, come viene chiamato Oltreoceano per distinguerlo dal football americano, fatica a imporsi come sport di massa, rimanendo una forza secondaria rispetto a discipline come football, basket e baseball.
La cultura sportiva statunitense è legata a concetti come l’equilibrio competitivo e la certezza di un vincitore. Tutti elementi che mal si conciliano con un torneo che, nelle sue fasi iniziali, ha mostrato un divario tecnico a tratti imbarazzante. Basti pensare ai risultati tennistici tra alcune squadre, come il 10-0 del Bayern Monaco contro l’Auckland City.
A questo si aggiunge una programmazione discutibile, con molte partite giocate in orari lavorativi per favorire le fasce di ascolto del più ricco mercato europeo, penalizzando di fatto gli spettatori locali.
Altro fattore determinante è la percezione del torneo. Molti americani lo considerano un evento che non ha un grande significato, una sorta di prologo al ben più atteso Mondiale per Nazionali del 2026, per il quale preferiscono risparmiare. L’inflazione di eventi in un calendario già pieno di impegni ha generato una sorta di saturazione nel pubblico.
Un business colossale, nonostante tutto
Nonostante le difficoltà evidenti in termini di pubblico, le ambizioni economiche legate al Mondiale per Club restano enormi. La FIFA, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), ha stimato un impatto economico potenziale di decine di miliardi di dollari per gli Stati Uniti, tra prodotto interno lordo, benefici sociali e creazione di nuovi posti di lavoro. Il fine ultimo è quello di trasformare il calcio in un prodotto di intrattenimento globale sempre più redditizio, capace di attrarre sponsor e investimenti massicci.
Il montepremi da un miliardo di dollari promesso ai club partecipanti testimonia la portata dell’operazione. Un’operazione che vede anche la strategica presenza di partner commerciali di primissimo piano e l’ombra lunga di interessi geopolitici. Ne è un esempio il presunto ruolo di fondi sauditi nell’acquisizione dei diritti televisivi globali da parte di DAZN.
La scelta degli Stati Uniti come paese ospitante non è casuale. Si punta a conquistare un mercato emergente e a consolidare la crescita della Major League Soccer (MLS), anche grazie alla presenza di stelle di fama mondiale.
Un esperimento da ricalibrare
Il primo Mondiale per Club in formato “extra large” si sta rivelando un esperimento complesso. A voler essere imparziali, un test importante in vista del Mondiale per Nazionali del 2026. L’attuale accoglienza suggerisce che, al di là delle proiezioni economiche, la strada per conquistare il cuore del pubblico americano sia ancora lunga e piena di ostacoli. L’errore principale, forse, è stato quello di scegliere stadi mastodontici, sproporzionati rispetto all’effettivo interesse per un torneo nuovo e dal formato ancora da digerire.
Secondo molti analisti (sportivi e non solo) La FIFA dovrà probabilmente ricalibrare la sua strategia, magari ripensando al numero di squadre, ai criteri di selezione e alla logistica dell’evento per renderlo più appetibile e sostenibile. Il rischio, altrimenti, è che il sogno di un “Super Bowl” del calcio si trasformi in una collezione di amichevoli di lusso giocate nel disinteresse generale. Un’operazione grandiosa ma senza anima.
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