Scoperto nel reattore 4 della centrale nucleare ucraina, il fungo Cladosporium sphaerospermum si nutre di radiazioni grazie alla radiosintesi. Le sue straordinarie proprietà potrebbero rivoluzionare la bonifica di ambienti contaminati e la protezione degli astronauti nello spazio.
Un organismo estremo tra le rovine di Chernobyl
Nel cuore del reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl è stato individuato un organismo inaspettato quanto straordinario: un fungo nero chiamato Cladosporium sphaerospermum. In un ambiente dove la maggior parte delle forme di vita non può sopravvivere, questo fungo non solo resiste ma addirittura prospera. A sorprendere i ricercatori è stata la sua capacità di crescere orientandosi verso le fonti di radiazione, un comportamento anomalo che ha aperto nuove prospettive nello studio della vita in condizioni estreme.
La sua scoperta era avvenuta già negli anni successivi all’incidente, quando alcune colonie fungine vennero trovate lungo i muri e le superfici delle strutture più contaminate della centrale. Quello che sembrava un fenomeno marginale si è rivelato invece un caso di adattamento evolutivo estremo. Gli scienziati hanno notato come queste colonie non mostrassero segni di sofferenza, nonostante le dosi di radiazione ionizzante superiori di oltre 500 volte rispetto alla norma.
La radiosintesi: energia dalle radiazioni
Alla base delle capacità del Cladosporium sphaerospermum c’è un meccanismo straordinario: la radiosintesi. Si tratta di un processo biologico ancora poco conosciuto ma affascinante, che funziona in modo analogo alla fotosintesi delle piante. Invece di assorbire la luce solare, questo fungo utilizza l’energia delle radiazioni ionizzanti – come quelle gamma – per attivare processi metabolici che gli permettono di crescere.
Il ruolo chiave è giocato dalla melanina, il pigmento nero presente in abbondanza nella parete cellulare del fungo. Questa sostanza, già nota per le sue proprietà protettive nei confronti dei raggi UV, si comporta in questo caso come una sorta di antenna biologica: cattura le radiazioni, ne converte l’energia e la rende disponibile per la sintesi di molecole organiche. Alcuni esperimenti hanno dimostrato che, in presenza di forti radiazioni, la melanina cambia conformazione e aumenta la sua efficienza nella trasduzione dell’energia.
Questa capacità trasforma un elemento distruttivo come la radiazione in una risorsa, suggerendo l’esistenza di un ecosistema microbico completamente nuovo e adattato a condizioni finora considerate incompatibili con la vita.
Crescita accelerata in ambienti radioattivi
Le conferme sperimentali non sono mancate. Uno studio pubblicato già nel 2007 sulla rivista PLOS ONE aveva documentato che il fungo cresce fino a tre volte più rapidamente quando esposto a forti livelli di radiazione rispetto a un ambiente privo di esse. In laboratorio, il Cladosporium è stato messo a confronto in ambienti con e senza fonti radioattive: i risultati hanno dimostrato che non solo tollera la radiazione, ma la sfrutta come un vero e proprio nutriente.
Questa crescita “guidata” è stata osservata anche sul posto, a Chernobyl, dove il fungo tende a svilupparsi maggiormente lungo le pareti orientate verso i punti con la più alta concentrazione di particelle ionizzanti. Una prova tangibile della sua capacità di rilevare e dirigersi verso l’energia radioattiva, una sorta di “fototropismo nucleare”.
Il fenomeno è stato studiato anche da un punto di vista genetico: si è scoperto che il DNA del Cladosporium presenta tratti comuni con altri organismi estremofili, come quelli che vivono nelle bocche idrotermali oceaniche. Questo lo rende non solo interessante da un punto di vista ecologico, ma anche come modello per lo studio della vita in ambienti extraterrestri.
Applicazioni spaziali
Non è un caso che questo fungo abbia attirato l’attenzione della NASA e di altre agenzie spaziali. Durante una missione sulla Stazione Spaziale Internazionale, è stato condotto un esperimento per testarne la crescita in condizioni di microgravità. I risultati hanno mostrato che il Cladosporium è non solo in grado di adattarsi all’ambiente spaziale, ma anche di schermare le radiazioni cosmiche.
In particolare, è stato dimostrato che uno strato di soli due millimetri di questo fungo può ridurre fino al 2% le radiazioni ambientali. Un valore che, se ampliato in spessore o combinato con altri materiali, potrebbe rappresentare una soluzione innovativa per la protezione degli astronauti durante missioni a lungo termine, come quelle verso Marte.
Il vantaggio principale rispetto ai materiali tradizionali risiede nella sua natura rigenerativa. Il fungo può crescere da solo, utilizzando materiali organici disponibili in loco, e adattarsi continuamente all’ambiente circostante. Un tipo di “scudo vivente”, quindi, leggero, autosufficiente e con capacità adattative che nessun materiale industriale possiede.
Un alleato per la colonizzazione di Marte?
Tra gli ostacoli principali all’esplorazione umana del pianeta rosso, le radiazioni cosmiche rappresentano uno dei più gravi. L’atmosfera marziana, molto più sottile di quella terrestre, offre una protezione minima dai raggi gamma e dai protoni solari. Qualsiasi struttura abitativa, quindi, dovrà necessariamente integrare sistemi di schermatura efficaci.
In questo contesto, il Cladosporium sphaerospermum potrebbe rappresentare un’alternativa rivoluzionaria. Il suo utilizzo in ambienti chiusi, come moduli abitativi o serre, garantirebbe non solo protezione passiva, ma anche una componente biologica dinamica, capace di autorigenerarsi in caso di danneggiamento. In prospettiva, potrebbe persino essere coltivato direttamente su Marte, sfruttando substrati ricchi di carbonio provenienti da rifiuti organici o biomassa prodotta in loco.
Alcuni ricercatori ipotizzano già la possibilità di creare “pitture biologiche” a base di funghi melanizzati, da applicare su pareti e moduli spaziali, che offrano una protezione aggiuntiva mantenendo leggerezza e flessibilità strutturale.
Bonifica di ambienti contaminati sulla Terra
Le possibili applicazioni del fungo nero di Chernobyl non si limitano allo spazio. Sul nostro pianeta, infatti, sono numerosi i siti contaminati da radiazioni che attendono da decenni soluzioni efficaci per la bonifica. Le tradizionali tecniche di decontaminazione, spesso costose e complesse, potrebbero trovare un’alternativa più sostenibile nella biotecnologia.
Il Cladosporium potrebbe essere impiegato come “agente bioremediatore”, capace di assorbire radiazioni dall’ambiente e contribuire alla riduzione del rischio per l’uomo e per la biodiversità. Esperimenti in laboratorio e sul campo hanno già dimostrato che il fungo riesce ad assorbire una parte significativa della radioattività presente nel terreno e nell’aria, stabilizzando i contaminanti e rallentando la loro diffusione.
In uno scenario futuro, potrebbe essere coltivato in aree a rischio come Fukushima, Sellafield o lo stesso sito di Chernobyl.
Un passo avanti per la biotecnologia
La scoperta delle proprietà radiosintetiche del Cladosporium sphaerospermum segna un punto di svolta nella ricerca sugli organismi estremofili. Il suo studio potrebbe avere ricadute anche in ambito medico, per esempio nello sviluppo di farmaci radioprotettivi basati sulla melanina, o nell’ingegneria genetica, per creare organismi capaci di resistere a condizioni ambientali estreme.
Il Cladosporium sphaerospermum, silenzioso abitante di uno dei luoghi più pericolosi del pianeta, si candida oggi a diventare protagonista della scienza del futuro.
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