Negli ultimi 15 anni l’uscita dal lavoro prima dei 60 anni è diventata un’eccezione. I dati Istat sull’effetto delle riforme e il nuovo scenario previdenziale
Negli anni Duemila era quasi scontato andare in pensione prima dei 60 anni. Oggi questa possibilità riguarda solo una piccola minoranza. Secondo un recente report dell’Istat, nel 2023 appena un pensionato su dieci ha lasciato il lavoro prima dei 60 anni, contro il 90% del 2009. Una svolta radicale che ha modificato profondamente la età pensionabile in Italia, allineandola agli standard europei. Il cambiamento non è frutto del caso. A guidare questa transizione è stata una serie di riforme che, a partire dal 2012 con l’introduzione della legge Fornero, hanno innalzato l’età e i requisiti contributivi per accedere alla pensione. Un processo che ha reso il pensionamento anticipato sempre più difficile, tracciando una nuova rotta per milioni di lavoratori.
L’effetto della riforma Fornero sull’età pensionabile
L’approvazione della riforma Fornero ha segnato uno spartiacque. L’obiettivo era contenere la spesa pubblica e garantire la sostenibilità del sistema previdenziale. Il risultato? L’età pensionabile si è alzata sensibilmente e le deroghe sono diventate sempre più limitate. “L’aumento dell’età media di pensionamento risente fortemente degli effetti delle riforme che nel tempo, in particolare a partire dal 2012, hanno inasprito i requisiti per accedere alla pensione”, si legge nel rapporto Istat dedicato alla partecipazione al lavoro dei 50-74enni. La platea dei cosiddetti “pensionati giovani” è dunque crollata: da 9 su 10 a poco più di 1 su 10 in meno di 15 anni.
Quota 100 e le soglie della pensione anticipata
Nel tentativo di ammorbidire le rigidità introdotte con la riforma Fornero, nel 2019 è stata varata la misura nota come Quota 100, che ha permesso per un triennio l’uscita dal lavoro con almeno 62 anni di età e 38 di contributi. Un’opportunità che ha intercettato molti lavoratori, ma che aveva una scadenza precisa. Dopo la fine di Quota 100, si è passati a Quota 102 e poi a Quota 103, introdotta dal governo Meloni. Quest’ultima ha mantenuto la soglia anagrafica ma ha aggiunto l’obbligo del calcolo contributivo dell’assegno, rendendo di fatto meno vantaggiosa la scelta del pensionamento anticipato. Nel complesso, tutte queste misure hanno contribuito a innalzare ulteriormente l’età pensionabile effettiva, riducendo le possibilità di uscita anticipata dal mondo del lavoro.
L’Italia allineata all’Europa, ma con differenze di genere
Oggi, in Italia, l’età media per ricevere la prima pensione di vecchiaia è di 61,4 anni, un valore in linea con la media europea, che si attesta a 61,3. Tuttavia, guardando più da vicino i dati, emergono alcune differenze significative. Le donne italiane accedono alla pensione mediamente più tardi rispetto agli uomini: 61,9 anni contro 60,9. Questo scarto dipende anche da carriere lavorative più discontinue e da difficoltà nel raggiungere i requisiti contributivi richiesti. Paradossalmente, mentre in Europa le donne vanno in pensione prima degli uomini, in Italia succede spesso il contrario.
Età pensionabile in crescita: un trend destinato a durare
La tendenza all’aumento dell’età pensionabile sembra destinata a consolidarsi. Le proiezioni demografiche, con un progressivo invecchiamento della popolazione e una base contributiva sempre più fragile, rendono difficile immaginare un’inversione di rotta. In questo scenario, le riforme future dovranno tenere conto della necessità di sostenere chi lavora più a lungo, ma anche di introdurre strumenti più flessibili per gestire l’uscita dal mercato del lavoro, soprattutto per le categorie più fragili o usurate.
L’età pensionabile come specchio del cambiamento
L’evoluzione dell’età pensionabile in Italia racconta molto più di una semplice statistica. Parla di scelte politiche, sostenibilità economica e trasformazioni sociali. Il passaggio da un sistema più “generoso” a uno più rigido ha avuto effetti tangibili sulla vita delle persone, spostando in avanti il traguardo della pensione. Oggi, ritirarsi prima dei 60 anni è diventata una rarità. E se da un lato questo contribuisce a rendere più solido il sistema previdenziale, dall’altro impone nuove sfide: garantire un mercato del lavoro più inclusivo anche per chi ha superato i 50 anni e assicurare una qualità della vita dignitosa a chi lavora più a lungo.
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