Roberta Gatani promuove progetti di partecipazione sociale, con donazioni private perché «Accettando un aiuto, rinunceremmo alla libertà di poter gridare che in fondo la strage di via D’Amelio è una strage di Stato»
«Paolo ha bisogno di essere conosciuto». Roberta Gatani, nipote di Paolo Borsellino, mantiene questo suo impegno ogni giorno sia con i bambini de La Casa di Paolo, il progetto che ha sede nell’ex farmacia Borsellino nel quartiere la Kalsa a Palermo, sia con i turisti che si fermano per una visita alla Casa, fino a portare la sua testimonianza ai ragazzi in giro per l’Italia. Un impegno cresciuto con il tempo, difendendo con discrezione e determinazione la sua battaglia per la legalità, e che è nato grazie all’altro zio di Roberta, Salvatore Borsellino. «All’inizio, ho vissuto il lutto come una perdita personale – ricorda Roberta Gatani, figlia di Adele Borsellino, sorella maggiore del giudice, che nell’anno della strage aveva 18 anni -. Per me lui ha avuto un ruolo particolare: mia mamma era rimasta vedova a 47 anni e io avevo 9 anni, penultima di sette figli. Mio zio Paolo, da quel momento, ha preso le redini della mia famiglia diventando una figura molto importante. Con i suoi figli era un papà a tutti gli effetti, con me e i miei fratelli era solo il papà buono, che ci accontentava in tutto per alleggerire un po’ il clima». E con voce più ferma, aggiunge: «Crescendo, ignoravo quello che faceva mio zio. Dopo il 19 luglio, è stato tramite l’altro zio, Salvatore, che ho capito chi era davvero Paolo, il seguito che aveva lasciato. E soprattutto ho capito che anch’io avrei dovuto fare qualcosa e che la sua battaglia per la ricerca della verità doveva essere la mia. Una battaglia che continuiamo a portare avanti, e della quale purtroppo non vedremo la fine a breve. Come famigliari, questo è estremamente frustrante: per ogni passo avanti che riusciamo a fare, ce ne fanno fare dieci indietro. Però, ripeto: lo faccio e lo continuerò a fare!».
Quindici anni di impegno a fianco dello zio Salvatore Borsellino, prima con il Movimento Agende Rosse per chiedere la verità sulla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992, e poi con il volontariato nella Casa di Paolo per offrire un futuro lontano dalla mafia ai bambini del quartiere dove era cresciuto il magistrato Borsellino. «La Casa di Paolo è un progetto meraviglioso che ha sognato e realizzato Salvatore tornando nel suo quartiere la Kalsa molti anni dopo la strage, ripensando a quello che gli aveva raccontato suo fratello. Paolo, da giudice, si era ritrovato tante volte nella bruttissima situazione di riconoscere nei mafiosi con cui si confrontava i bambini con cui aveva condiviso l’infanzia, e si chiedeva perché quei bambini non ce l’avessero fatta a diventare persone per bene. Con questo progetto Salvatore ha dato una risposta a suo fratello – spiega Roberta, che è alla guida della Casa di Paolo -. Tutti i giorni facciamo doposcuola, qui i bambini arrivano da situazioni di estremo disagio. Vivono in case occupate, con tutte le difficoltà che questo comporta, con il va e vieni delle forze dell’ordine. A casa non hanno chi gli trasmetta la passione per lo studio, e il nostro primo impegno è aiutarli a studiare. Quest’anno, il 17 luglio, festeggiamo 10 anni e, da quando esistiamo, tutti i nostri bambini hanno deciso di continuare gli studi».
I bambini della Casa di Paolo qui studiano, fanno laboratori artigianali e quando è possibile viaggiano, anche solo per conoscere la città di Palermo, perché «loro conoscono solo il quartiere la Kalsa», chiarisce Roberta Gatani. Un’opportunità completamente gratuita per le famiglie del quartiere, sostenuta solo da donazioni private. «Non accediamo a bandi, patrocini, finanziamenti. Come famiglia Borsellino, l’unica cosa che vogliamo dallo Stato è ancora, dopo 33 anni, la verità sulla strage – chiosa la nipote di Borsellino -. Accettando un aiuto, rinunceremmo alla libertà di poter gridare che in fondo la strage di via D’Amelio è una strage di Stato».
La vita di Paolo Borsellino non si è cristallizzata in comuni gesti di memoria, ma è più viva che mai. Dalla targa affissa dai palermitani nel luogo di nascita del magistrato, come inizio della rinascita di Palermo, al libro di Gatani sui 57 giorni che precedono la strage di via D’Amelio. «Noi diciamo sempre che “la memoria non ce la possiamo permettere”, e quando qualcuno arriva qui cercando un museo, io lo deludo subito – commenta sorridendo Roberta – perché questo è un luogo di vita». E prosegue: «Paolo era una persona meravigliosa, se pensiamo a quello che ha fatto negli ultimi 57 giorni di vita. Oltre alla decisione consapevole di continuare a lavorare, ha smesso a un certo punto di abbracciarci, di darci i morsi sulle guance che erano il suo segno distintivo. Ha provato a proteggerci. E io ho provato a salvare la memoria di mio zio Paolo, scrivendo un diario che inizialmente era un dono per Salvatore. Poi nel libro ho aggiunto la storia della Casa, così ho raccontato quello che di bello c’è dopo la strage. Almeno, ho la sensazione di averlo tirato via da quella strada».
L’esempio vitale di Paolo Borsellino arriva anche ai ragazzi che non hanno vissuto le stragi, ma «le cui conseguenze sono ancora vive. Quindi bisogna aprirgli gli occhi e passargli il testimone», conclude Roberta.
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