A raccontare il progetto dedicato ai care livers è Elda Melaragno, presidente della Fondazione Protettorato San Giuseppe: «L’obiettivo non è solo offrire protezione e sicurezza, anche fornire ali affinché i ragazzi possano spiccare il volo»
Per fare un albero, ci vuole un fiore. Per fare un uomo, ci vuole un lavoro. E quando quell’uomo ha appena 18 anni, è arrivato in Italia da poco ed è appena uscito dalla casa famiglia, quel lavoro è ancora più importante e prezioso: lo mette al riparo dalla povertà e dallo sfruttamento, mentre muove i primi passi nella sua vita da adulto. L’impresa sociale Sol.Inc. è stata voluta, creata e sostenuta dalla Fondazione Protettorato di San Giuseppe proprio a questo scopo: garantire un lavoro ai neomaggiorenni che, per legge, devono lasciare il sistema dell’accoglienza e iniziare una vita autonoma. Perché diventare adulti non è facile e occorre gradualismo: difficile camminare con le proprie gambe, o meglio ancora spiccare il volo, se non si hanno gli strumenti per farlo. Il lavoro, come la casa, è il principale di questi strumenti. Per questo i ragazzi che, compiuti 18 anni, escono dalle case famiglia del Protettorato San Giuseppe – stranieri ma anche italiani – possono contare su una casa con un affitto calmierato -, un appartamento nel quartiere Nomentano di Roma da condividere e gestire in autonomia, supportati da un tutor – e un lavoro in piena regola. Prima il corso di formazione, poi il tirocinio e infine l’assunzione, con regolare contratto, da parte dell’impresa sociale Sol.Inc., per l’inserimento in attività di catering e ristorazione.
E l’estate si è aperta con una grande e bella novità per i carel leavers – così si chiamano, tecnicamente, i neomaggiorenni che escono dalle comunità di accoglienza – del Protettorato San Giuseppe: Sol.Inc. si è infatti aggiudicata un’attività di ristorazione balneare sul lido laziale, precisamente presso il lido “Torre Marina”, a Tor San Lorenzo (Ardea). Ed è qui che si sono trasferiti, a giugno, quattro dei ragazzi di Sol.Inc., per lavorare presso il chiosco in riva al mare e il ristorante sulla spiaggia. Non solo un lavoro, quindi, ma un bel lavoro, che permette loro di trascorrere l’estate al mare, mentre acquisiscono nuove competenze e arricchiscono il proprio curriculum.
I quattro ragazzi oggi stanno lavorando presso il chiosco e il ristorante “Lo sguardo della Dea” come aiuto cuochi e camerieri: tutti loro sono arrivati in Italia come minori stranieri non accompagnati. Dopo aver trascorso il primo periodo in un centro di prima accoglienza, sono stati trasferiti presso una delle case famiglia della Fondazione Protettorato San Giuseppe e hanno iniziato il loro percorso di inclusione e integrazione sociale e culturale: dall’apprendimento della lingua alla richiesta dei documenti, dall’inserimento scolastico fino al conseguimento del diploma. Ora, il salto verso l’autonomia, grazie alla formazione e poi all’inserimento lavorativo.
A spiegarci come e perché la Fondazione Protettorato San Giuseppe abbia pensato di dar vita a un’impresa sociale dedicata proprio ai care leaver è la presidente, Elda Melaragno: «Da quando il Protettorato ha visto la luce, più di un secolo fa, la sua missione è stata accogliere bambini e ragazzi in difficoltà; quello che era un orfanotrofio, negli anni si è trasformato in un luogo che ha le caratteristiche e, soprattutto il calore, della famiglia. Come in ogni famiglia, l’obiettivo è non solo offrire protezione e sicurezza – in altre parole, accoglienza -, ma anche fornire le ali perché i proprio figli possano prendere il volo. Queste ali si chiamano casa e lavoro».
E in che modo assicurate queste ali ai ragazzi?
Innanzitutto, mettendo a loro disposizione un appartamento, non lontano dal Protettorato, per il quale chiediamo il pagamento di un affitto simbolico – importante, però, perché iniziano a percepirsi come adulti – e di cui sono responsabili. In secondo luogo, insegnando loro un mestiere che nel nostro paese e nella nostra città è molto richiesto e che per molti di loro è una passione: la ristorazione. La cucina, poi, ha anche un forte valore simbolico, perché è luogo di contaminazione e incontro per eccellenza: i sapori e le tradizioni qui si uniscono per dar vita, insieme, a qualcosa di veramente buono.
Cosa pensa della nuova attività che Sol.Inc. gestirà sul litorale laziale? Una sfida non da poco.
E infatti non è stato facile, soprattutto all’inizio. Ma noi amiamo le sfide e quanto più sono complesse, tanto più ci piacciono. In fondo, diventare adulti significa proprio questo: passare da una sfida all’altra, senza lasciarsi intimorire dalle difficoltà. E questa nuova impresa mi entusiasma particolarmente, perché offre ai ragazzi non soltanto una grande occasione. Poter vivere e trascorrere il tempo estivo al mare è un ‘privilegio’ che questi ragazzi si meritano: tutti loro hanno dimostrato serietà, buona volontà, dedizione e coraggio: sono sicura che sapranno valorizzare e mettere a frutto questa opportunità, con la stessa serietà e responsabilità che hanno appreso e fatto proprie durante il periodo dell’accoglienza. Abbiamo dato loro un paio d’ali, ora sta a loro imparare a volare.
Chi sono i ragazzi impiegati nel ristorante e nel chiosco?
Per adesso, sono quattro, tutti arrivati in Italia come minori stranieri non accompagnati, da diverse parti del mondo. Con il tempo, contiamo di coinvolgerne altri, anche italiani, sempre neomaggiorenni usciti dal sistema dell’accoglienza. Ora stiamo muovendo solo i primi passi, ma sono sicura che cresceremo e andremo lontano.
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